n La “vita semplice” (A simple life è il titolo del film) di Tao Jie scorre a Hong Kong, apparentemente senza grandi sbalzi, mutazioni, in realtà riflettendo tanti dei cambiamenti intercorsi in quella terra negli ultimi sessant’anni. Attraverso i gesti di questa donna, per decenni domestica presso una famiglia in cui è rimasto ormai solo uno dei figli che lavora nel mondo del cinema (tutti gli altri si sono trasferiti negli Stati Uniti), la regista Ann Hui racconta anche gli avvenimenti accaduti a Honh Kong tra gli anni Settanta del secolo scorso e i giorni nostri, descrivendo in qualche maniera la città così com’è oggi, ma soprattutto chi la abita. Roger, giovane produttore che vive con la domestica nella casa lasciata dalla famiglia, è uno di questi: ha sviluppato un rapporto filiale con questa donna, la sceneggiatura e la sensibile regia di Ann Hui ce lo comunicano in più di una maniera, sono in qualche maniera madre e figlio (lui la presenta come “la mia madrina”) e vivono un rapporto di singolare vicinanza e condivisione. Lui lavora con le stelle del cinema (nel film fa una parte-cameo anche il grande regista Tsui Hark) ma alla fine dei viaggi di lavoro torna sempre in questa casa che immaginiamo rimasta così com’è da anni, e che ritroverà vuota quando la donna preferirà essere portata in una casa di riposo dopo un attacco di cuore. Il rapporto tra questi due esseri umani è il cuore del film che, la regista lo scrive nei titoli di testa, è ispirato a una storia vera (gli elementi inseriti nella trama suggeriscono anche che siano accadimenti molto vicini all’autrice). Roger e Ah Tao sono in qualche maniera anche dei “pezzi” di quella memoria del Paese che si è radicalmente trasformato, passando dall’amministrazione Britannica a quella cinese, dopo la riannessione del 1997. Il film è un ritratto delicato e allo stesso tempo molto coerente, forse troppo dilatato in lunghezza, ma ricco di piccoli grandi particolari di regia che ne fanno un’opera bella e da vedere (e forse da premiare guardando la prova dei due bravissimi interpreti Andy Lau e Deanie Yip).
A migliaia di chilometri di distanza e a latitudini quasi opposte si svolge invece Dark Horse, dell’americano Todd Solondz che per una volta pare aver abbandonato la vena più provocatoria per dirigere una commedia, ugualmente “black” e urticante. Il suo protagonista, un bamboccione soprappeso e quasi quarantenne che vive ancora a casa con i genitori (gli “inquietanti” Christopher Walken e Mia Farrow) è uno dei più divertenti visti di recente, e la sua storia fa rabbrividire e pensare, condita com’è da battute fulminati e risate garantite. Solondz non ha insomma abbandonato la voglia di provocare, anche se in questo film utilizza una cifra stilistica meno estrema rispetto al passato. I contenuti invece rispettano i temi del passato, la condanna a certa cultura americana è totale: tante cose si ritrovano nel suo triste protagonista che guida un fuoristrada enorme e giallo e beve solo coca senza zucchero, a dispetto della mole imponente…
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