Un film di 007 è come la ricetta del suo cocktail preferito: semplice e non ammette errori. Una formula classica, incurante dello scorrere del tempo.
Spectre è il film numero 24 della serie di Bond, il quarto interpretato da Daniel Craig ma soprattutto il secondo diretto da San Mendes. Il regista (di American Beauty e Revolutionary Road) che in qualche maniera in Skyfall aveva fatto “rinascere” il personaggio creato da Ian Fleming, aggiungendogli sfumature inedite. E che qui inverte a 180 gradi la rotta per trovare una strada nuova, scegliendo di “tornare indietro” per rinnovarsi.
D’altronde «questo è il futuro e voi non lo siete», come si sente dire in faccia M dal suo giovane sostituto al vertice dei Servizi segreti (ormai globalizzati). Non lo sono mai stati né lui, né Bond né tantomeno Moneypenny, il futuro…
Tra Città del Messico, Roma, Tangeri e, naturalmente, Londra ritroviamo l’agente segreto “con licenza di uccidere” impegnato in una nuova missione: individuare il vertice dell’associazione criminale Spectre per distruggerla definitivamente. Un compito da portare a termine mentre i Servizi segreti di Sua Maestà stanno per essere riprogettati completamente, per mandare in pensione quelli come lui, ormai considerati obsoleti come un palazzo che va demolito.
Il vecchio contro il nuovo (dove Bond ovviamente sta dalla parte del passato), i metodi di indagine di una volta contrapposti al controllo totale delle informazioni di oggi, il doppiofondo e la porta segreta dietro al muro “versus” il microchip. L’agente 007 ancora in pista mentre nel frattempo sullo schermo e in letteratura sono nati personaggi più complessi, più ricchi di sfumature, più tecnologici o semplicemente più giovani. Sam Mendes in Spectre resetta tutto e riparte da principio, forte della “ricerca interiore” a cui aveva sottoposto Bond nel film precedente e che qui non è più necessaria. Allora si torna alle corse in macchina sul Lungotevere come se fossero le curve di Indianapolis, alle Bond girl che ti cascano ai piedi e alla sana e vecchia ironia che serve per scrollarsi di dosso la polvere dopo che un palazzo ti è crollato addosso. In fondo quello dell’agente segreto Bond resta «un lavoro stressante», che ti costringe «a bere troppo» e in cui si fa esercizio fisico «per fare a cazzotti con i cattivi». Semplice. Senza bisogno di cambiare troppo, perché le armi progettate da Q funzionano ancora benissimo e l’efficiente Moneypenny risolve sempre i problemi più complicati. Mendes non si butta nella mischia per competere con gli altri a suon di esplosioni ma usa le sue di armi: la scrittura, le citazioni, la pellicola preferita al digitale. Mette 007 a confronto con i suoi fantasmi, ma è uno sguardo rapido sull’abisso... Così l’agente torna a essere quello che è sempre stato, classico, magari con poche sfumature. Poi come tutti i supereroi anche Bond deve avere un avversario all’altezza, un grande nemico. E anche per questo motivo, per l’attenzione che il regista aveva dedicato alla costruzione del personaggio di Raoul Silva, questo suo secondo film appare meno “complesso” di Skyfall. Ma coerente.
Per tutto questo Spectre funziona e non delude le attese dei tantissimi appassionati della serie, che potranno considerare questo 24esimo episodio come un autentico “omaggio” all’agente segreto di Fleming. Tornato quello che è sempre stato. Né moderno, né antico, ma un classico. Come una Aston Martin argento o un Vodka Martini (agitato, non mescolato).
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