Speravo de morì prima

SIAMO SERIAL: Un racconto a tinte pop degli ultimi anni di carriera di Francesco Totti e del mondo del pallone

Il rumore dei tacchetti come quello degli speroni. Gli occhi a fessura che si guardano come in un duello all’Ok Corral. I colori accesi, le tinte innaturali che contribuiscono a staccare il racconto dalla realtà. E poi - prima di tutto - una specie di grillo parlante, una coscienza che prende vita nel corpo di Antonio Cassano.

Non bisogna fare un errore davanti a “Speravo de morì prima”, la serie tv dedicata a Totti: quella di scegliere per la lettura un approccio biografico, di cronaca, legato al pallone, alle gesta sul campo, ai colpi e alle vittorie. E alle sconfitte. Quella di Luca Ribuoli è una rilettura pop degli ultimi anni di carriera del Pupone, il re dell’Olimpico giallorosso e ultimo re di Roma, raccontato come un eroe fragile e in precario equilibrio sul passo finale della sua straordinaria avventura pallonara. È vero: ci sono i compagni di squadra, c’è Trigoria, lo spogliatoio, c’è il fratello di campo De Rossi, e c’è - soprattutto - Spalletti. il nemico. Ma proprio da qui bisogna partire per leggere questa serie, che è legata alla cronaca dei fatti ma vola in tutt’altra direzione (e lo fa pure bene, tra ironia, invenzioni e sdrammatizzazione). Il confronto con l’allenatore è legato a episodi di cronaca, ma è ovviamente romanzato, caricaturale. Lo è lo Spalletti interpretato da Gianmarco Tognazzi, così come Francesco Totti con il viso e gli occhi di Pietro Castellitto. I loro dialoghi, i confronti: c’è l’appiglio alla cronaca sportiva, ma c’è una narrazione che da questa si allontana per sfiorare altri generi, come se i due fossero i protagonisti di un western in cui tutto è possibile, come suggerisce la musica di sottofondo, e come in un campo di pallone può accadere.

E poi c’è Antonio Cassano, e forse andrebbe realizzato uno spin off per raccontare le gesta dell’amico e compagno di squadra (anche qui romanzate, ma il confine si assottiglia vista la personalità del campione barese...). Che ovviamente davanti alla visione della serie ha protestato perché ha ritenuto eccessiva la caratterizzazione del suo personaggio, commettendo quello stesso errore su cui vi abbiamo messo in guardia al principio. “Speravo de morì prima” (titolo bellissimo preso in prestito da quello striscione comparso in tribuna all’ultima partita di Totti) insomma non è una serie tv sul pallone, non è “The last dance” che svelava il dietro le quinte di una squadra di campioni del basket NBA, ma è un tentativo completamente diverso. In gran parte riuscito, perché animato da una bella energia e da un sottotesto amaro che si intreccia con quella “cronaca” di partite, giocate, colpi di tacco, lacrime e rivincite. Che riportano sulla terra il mito e lo rendono ancora più vicino a noi.

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