TELEKOMMANDO

Non so dire che settimana è stata quella che è iniziata con la coda polemica della tanto strombazzata intervista di Fazio a Chiara Ferragni (su cui peraltro l’Espresso con l’ormai nota copertina ha gettato ancor più benzina sul fuoco dello scandalo) e si è completata con il deludente inizio della terza stagione di Lolita Lobosco. Questo già lunedì, quand’invece le notizie su cui riflettere nel corso dei giorni avrebbero dovuto essere altre ed invece sono scivolate via come fossero un non-sense della vita quotidiana. Quanto manca Freud in tutto questo. E in tutti e due i casi c’erano di mezzo razzi. Uno messaggero di morte (e quasi andava a bersaglio), un altro invece costruttore di futuri mondi extraterrestri (trovate voi cari lettori le notizie che segnalo potrebbe essere esercizio utile per rivalorizzare i giornali così tanto bistrattati). Sono queste le due facce della medaglia del progresso e della tecnologia. Questo osservando la parte luminosa, ma si sa pure che ci vuole un nonnulla per oscurarla. Eh sì, che a guardar le stelle non sono solo i poeti come ci hanno insegnato a scuola e a dimostrarlo è stata l’astrofisica Margherita Hack omaggiata in un biopic dalla Rai proprio in settimana. Peraltro con una audience vastissima. A girare Margherita delle stelle, protagonista una Cristiana Capotondi molto in parte, è il regista del momento, Giulio Base, fresco di presentazione della prossima edizione del Torino Film Festival, di cui è il nuovo direttore. Questo film ha di interessante, al di là della confezione classica e funzionale data alla narrazione dal regista, che la figura anticonformista della scienziata fiorentina viene fuori con tutta la dirompenza di una giovinezza dettata dalla libertà di pensiero dei genitori. Basti pensare che si era nel pieno degli anni del consenso mussoliniano e a un passo dalle leggi razziali. Per una donna – vi rivelo che sto scrivendo queste noterelle proprio l’8 marzo – era un qualcosa di straordinario. Avrei altro da dire, ma mi accorgo che ho aperto questa rubrica con due donne e la chiudo con un’altra. Credo che, oltre le evidenti differenze, ma vi è contiguità mediatica nel reale e nel verosimile televisivo, queste tre figure di donne hanno rappresentato e rappresentino modi inediti di essere libere e emancipate mantenendo però intatte tutte le loro amletiche fragilità.

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