Da molto tempo e non so più nemmeno da quale sabato della rubrica non esprimevo pareri sul reality. Mi pareva che il genere più popolare e di successo degli ultimi decenni avesse perso la spinta che lo rendeva così appetibile a concorrenti (soprattutto nip prima che i vip si accorgessero della sua potenziale ed esponenziale vocazione al successo), inserzionisti e ovviamente dirigenti televisivi. Il 2024 dell’Isola dei famosi, decretando il successo di uno dei protagonisti di Terra amara e a proposito questa sera per gli aficionados della serie turca andrà in onda l’ultima puntata, sembra aver mostrato che una delle vie possibili, anche in un’edizione fortemente penalizzata dagli ascolti, su nuovi suggerimenti e vie da percorrere le abbia date. Innanzitutto, la deriva trash anche in un palinsesto che ha come base il reality permanente deve essere definitivamente bandita. Casomai delle punte da trasformarsi in kitsch (né le teorie della Sontag né le polemiche dorflesiane possono mutarne le forme nel camp più aggraziato) devono apparire ai margini dei programmi. E non tra i “naufraghi”, “gieffini” e chi ne ha più ne metta. Restano conduttori, opinionisti, familiari e affini presenti e ritornati in studio a spartirsi l’incombenza di dover (e saper) essere imbarazzanti nell’oltrepassare il buon gusto. Il pubblico invece è mostrato nella sua presenza assente. La voce è solo “social”. Quindi rabbiosamente critica su tutto e tutti ed equamente divisa come tifoserie. In tutto ciò come dare un giudizio basandolo solo sull’audience raccolto in questi mesi. Come giudicare e mi tolgo subito d’impiccio una conduzione come quella di Wladimir Luxuria, persona di rara intelligenza e ironia, che però ha sofferto il triplo passaggio da “naufraga”, opinionista e infine guida del programma. Non voglio attribuire l’insuccesso ad alcuno; certamente il format è da ripensarsi anche alla luce del risultato. E non vorrei mai essere nelle vesti di chi scriverà la prossima edizione. Se ci sarà ancora un reality. Quando quasi tutti i programmi (persino i tiggì) occhieggiano e mascherano il genere principe della tv contemporanea.
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