Mi pare. Anzi, tolgo subito il dubbio dalla rubrica. È certo ormai che a salvare la tv pubblica da un repentino (e direi fisiologico) calo di ascolti dovuto alla programmazione estiva, sempre più ripetitiva ed esangue rispetto alle offerte altrui, è lo sport. Sono state – come uno spot che gira da qualche mese e fa ancora una bella figura di sé – le Olimpiadi che proprio questo fine settimane caleranno il sipario su un’edizione più interessata alle polemiche che alle medaglie e ai record e prima ancora gli Europei di calcio - e in mezzo il tennis del Roland Garros e di Wimbledon – e non va dimenticato il campionato e le coppe europee. Qui però si tratterà più di lasciare al commento che alle dirette. Ormai da tempo ad appannaggio delle piattaforme in streaming. Per non parlare della Coppa Italia. Ma si sa che il calcio in Italia è più parlato che giocato. Più visto che osservato nei suoi molteplici movimenti sia tecnici sia economici. Ma, sto sviando il discorso. Bisogna, infatti, chiedersi il perché la tv pubblica entra in crisi d’estate. Non è solo la tv a soffrire, basta ingrandire lo schermo, come suggeriva un grande regista, per passare al cinema e al suo ormai endemico stato di crisi. Avrei dovuto scrivere abituale, con buona pace del salva crisi messo in azione dalle arene estive, sorte un po’ in ogni dove. Le ho viste dappertutto e m piacerebbe vedere non solo la programmazione, ma anche i dati di presenza. Qualcuno potrà obiettare che il paragone non calza per niente. Non gli darò torto. Ma, c’è sempre un “ma” nello spettacolo. Ovviamente sempre da parte di chi osserva e non da chi lo va realizzando. Che è quello di esercitare il diritto di cambiare canale.
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