TELEKOMMANDO

Una volta si diceva che questo era il migliore dei mondi possibili. Per l’ottimismo malinconico (e non nostalgico. E avrei voluto cambiare una vocale trasformandolo poeticamente in melanconico) che mi abita da quando mi sono affacciato al mondo adulto nell’ultima finestra degli anni 70, riesco ancora a crederci. Tuttavia non si può far finta di niente che quel mondo è finito e se non lo è poco ci manca. Non smarcandosi peraltro dal fatto che molto del terribile d’oggi ha avuto terreno fertile e coltivato proprio nell’ormai e non più “secolo breve” che s’è dimostrato non lungo, ma interminabile. Da vero e proprio ritorno al futuro. A qualcuno questo può apparire il solito pistolotto intellettualoide dove, per i più attenti, si affastellano citazioni qui e là d’alto profilo (a maglie larghe rivelo Gramsci, Zweig, forse Bifo, ma anche Freccero, certo un piccolo spirito baudeleriano c’è), quando invece ciò serve per introdurre nel discorso mediatico due situazioni che mischiano il verosimile filmico (la messa in onda in prima visione del capolavoro di Matteo Garrone, Io capitano) e la verità ipermediale di una senatrice repubblicana che in video, con alle spalle detenuti - aggrappati alle sbarre come zombie - e al polso un orologio di lusso, avverte minacciosamente cosa attende chi si introduce illegalmente negli Usa. Da un lato il viaggio della speranza di due giovani senegalesi che cercano di entrare in Europa, meno Fortezza Bastiani di quanto si pensi, per trovare sì fortuna, ma anche per aiutare le famiglie: il loro viaggio sarà ovviamente una discesa e risalita dall’inferno dei trafficanti di uomini. Dall’altro e nella parte (ancora e per quanto?) più civile del globo s’intravede il futuro di tanta umanità.

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