
Per una di quelle bizzarre coincidenze, in uno di questi ultimi piovosi pomeriggi e di ritorno dal desco lavorativo, accedendo la tv e saltabeccando qui e là per i canali mi sono imbattuto su Rai Storia in un documentario, anzi meglio in un reportage di Indro Montanelli da Portofino che peraltro conoscevo già per aver girovagato intorno a un progetto che poi non si concretizzò: Montanelli, il cinema e la tv. Anzi, mi procurò una rottura con uno dei più importanti festival del documentario in Italia, dopo alcuni anni di progetti, suggerimenti, libri e collaborazioni varie. Ma, tant’è che si devono mettere in conto anche i fallimenti e non solo i successi che come si legge passano in un secondo per lasciar spazio ad altro. Del giornalista toscano invece mi interessava molto il lato ambientalista, messo allora in evidenza da un libro di Gian Antonio Stella, “Battaglie perse. Montanelli ambientalista rimosso”. D’altronde, Indro Montanelli come tanti giornalisti, scrittori e intellettuali del ‘900 ebbe un rapporto ambiguo con il cinema. Non ne fu sedotto, ma nemmeno lo rifiutò, sebbene in qualche intervista se ne dichiarò non entusiasta restando nei suoi confronti un “contadino toscano”. Le cose non andarono esattamente così e prima di Stella a raccontarlo in un libro fu un ricercatore dell’Università di Bologna, Rinaldo Vignati. Uscito per la collana Cinema della Mimesis, “Indro Montanelli e il cinema. Un contadino toscano candidato all’Oscar”, sottolineava l’ambivalenza tenuta da Montanelli rispetto a registi e film. Eppure a scorrere i titoli che lo riguardano direttamente o in modo derivato (parte della sua non cospicua produzione narrativa e teatrale scodellò soggetti per film divenuti memorabili come “Il generale Della Rovere” di Roberto Rossellini con Vittorio De Sica o per l’unica sua regia, “I sogni muoiono all’Alba”) si riscontra tutt’altro. Per tacere della produzione internazionale o dell’altro rapporto, intrattenuto con il piccolo schermo e la realizzazione tra fine la anni sessanta e l’inizio decennio successivo di alcuni documentari su città, che contenevano addirittura nel titolo il suo nome: “Montanelli Venezia”, “Montanelli Firenze”, e per l’appunto “Montanelli Portofino” (suggerisco di recuperarli su youtube e rai play, mentre per l’ambientalismo italiano degli anni 50-80 valgono ancora due libri: Il patrimonio insidiato di Cesare Brandi e Italia da salvare di Giorgio Bassani). Dunque il suo impegno a singhiozzo, cominciato nell’immediato secondo dopoguerra, fu segnato dalla fascinazione neorealista, più forte di qualsiasi tentativo di sottrarsi al racconto della nuova realtà. Lo strumento del cinema era troppo ghiotto, anche in termini economici, per lasciarselo sfuggire e non imprimervi sopra il suo inimitabile marchio di fabbrica che poi travasò nei citati reportage narrativi-documentali.
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