TELEKOMMANDO

Qualche settimana fa in rubrica, da tempo forse e non più o perlomeno in continua trasformazione spalto privilegiato d’osservazione dei media contemporanei, si è dato conto dell’inesorabile avanzare (per fortuna) della bella stagione. La stessa che porta via tutti i palinsesti invernali, riciclando le celebri frattaglie di arboriana memoria. Ed infatti, si è arrivati a quel punto, sebbene alcuni programmi tra piccoli exploit e più facili flop (mi spiace ora darne conto perché questo non è l’oggetto del contendere). Ma qual è il punto? Semplice: è la riproposta della terza stagione di Lolila Lobosco, il personaggio creato da Gabriella Genisi (a tal proposito ecco un piccolo consiglio di lettura del suo Lo scammaro avvelenato), e cucito su misura per Luisa Ranieri. E con un cast di comprimari d’alto profilo: da Lunetta Savino a Maurizio Donadoni e molti altri provenienti dal mondo del teatro. Insomma, una serie, prodotta da Luca Zingaretti e da Rai Fiction, di tutto rispetto. Purtroppo, e lo dico senza dubbio alcuno ed è difficile per chi lo coltiva come mantra quotidiano, ammettere che questa serie non resiste a una seconda visione. Se, in prima riesce ad “acchiappare”, a coinvolgere emotivamente lo spettatore, pure nell’andirivieni temporali della protagonista, poliziotta figlia di contrabbandiere, peraltro ucciso con la complicità (si è venuto a sapere nel corso degli episodi) dal primo fidanzatino e poi amore ritrovato da adulti, vedere una seconda volta tali vicende risultano “drammaturgicamente” sempliciotte. Evidentemente, la fragilità della narrazione resiste sì a una prima elaborazione, ma si sfalda a una seconda come se il giudizio venisse modificato alla luce forse di un desiderio dello spettatore di novità. Cosa che ad esempio non ha quasi ragione d’essere per un film che ha una struttura chiusa, rispetto alle modalità sempre aperte delle serie. Questa è presumibilmente la debolezza del genere.

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