Ogni tanto bisogna prenderla alla larga quando si comincia a criticare la tv da molti anni. Ma non la tv come mezzo che resta utile e non solo come soprammobile, anche di design se la si volesse osservare nella sua evoluzione di forme e di grandezza. A essere criticati sono i contenuti e chi li dirige e conduce, chi li progetta e realizza. E anche, talvolta (non è sempre vero, anzi), a essere valorizzati con suggerimenti, mai seguiti. Ed è questo il destino attuale del critico e della disciplina di cui si fa portatore. La difficoltà sta nell’intensificazione dei media, dei nuovi media nella declinazione “social” che fa sì che anche lo spettatore possa diventare partecipe del processo di produzione di qualsiasi trasmissione. Anche dei film. Non molti sanno che le serie vengono prodotte e realizzate grazie all’individuazione del mobilissimo gusto del pubblico. Accade anche al cinema. Ma qui l’autorialità diffusa ancora sortisce effetti differenti. Anche se altrettanto marginali. Mi sto avventurando in un discorso complicato, per nulla natalizio; eppure, di film natalizi sono pieni i palinsesti. Per giunta di ogni genere e sfumatura di colore. Insomma, esempio massimo della capacità di variazione sul tema che ha la commedia. Ed è un po’ il far commedia che anima trasmissioni molto spesso molto lontane l’una dall’altra. Cosa pensare di alcune telecronache dei mondiali o di alcuni talk d’approfondimento sociopolitico? Non sto gettando fuori dallo schermo nomi. Non ce n’è bisogno. D’altronde cosa diceva il più grande facilitatore di trame dell’antichità? Tutto il mondo è nient’altro che commedia. O no?
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