Continua imperterrita la campagna dei vertici di Mediaset contro il trash che è ormai diventato residenziale in alcuni dei programmi di punta e cult del Biscione di Cologno Monzese. L’elenco è inutile stilarlo, lo si conosce e in più occasioni sui gradini bassi di questo spalto se n’è discusso. Spero non in modo solipsistico tanto è facile caderci dentro quando si guarda la televisione: oggetto per definizione collettivo solo quando l’osservatore è l’osservato, nemmeno speciale visto il trattamento che solitamente gli viene riservato. Per chi ha in biblioteca e nelle librerie degli anni ’70 faceva bella mostra di sé il polemico Packard dei “Persuasori occulti”. Peraltro in prima pubblicazione quel libro risaliva addirittura ai tardi anni ’50 contendendo il primato ai saggi dedicati ai “villaggi globali” da Marshall McLuhan. Chi parla più di costoro e non è un amaro sfogo. Tutt’altro. Ma qui, nella tv contemporanea che ha già doppiato ben due volte la cosiddetta post-televisione (a proposito quanto mancano le lucide analisi di Marcello Walter Bruno, sagace pioniere della felice definizione e a mancare ulteriormente sono anche le schede di Renato Parascandolo) la memoria si azzera nell’abbattimento dello schermo che separa al di qua dall’al di là della messa in onda. Si chiama partecipazione diretta che non è più quello sfondamento della quarta parete tanto cara al teatro. Ma è l’irruzione delle miserie quotidiane, delle pulsioni più nascoste (che tali devono restare) di un’umanità completamente depersonalizzata dalla consapevolezza che anche il mezzo minuto in tv può consegnarti alla posterità. La celebrità come insegnava Warhol è ben altro.
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