Tra tutte le cose che accadono nel mondo, l’attenzione dei media, ma dovrei dire dell’industria dell’intrattenimento, per bocca di giornalisti e critici è spostata sull’ennesima campana a morto suonata sul cinema. Non bastavano la tv (che come questa rubrica ha dimostrato con la gemella diversa del lunedì è la sua più fedele alleata) o i piccoli, medi e grandi device, i superwall urbani a diffondere immagini in tutti i contesti (a tal proposito mi permetto di mettere un altro segnale consigliando di dare un’occhiata a “La galassia Lumiere” di Francesco Casetti, libro di qualche anno fa con l’autore che ne ha un altro in uscita, sempre Bompiani, “Schermare le paure. I media tra proiezione protezione”) e a decretarne la fine che ci si mette anche “Tik Tok”. Forse il più coattivamente dei social media di ultima generazione. Dico questo perché come mi raccontano ad esempio l’editoria si sta giovando dei consigli praticati per i libri dai tiktoker e come questi vengono seguiti. Insomma, croce e delizia della tecnologia al servizio di una pubblica utilità che le istituzioni hanno perso per strada o che tentano improvvidamente di emulare. Quindi una critica, altro genere in sparizione, grazie alla politica dissennata soprattutto dei giornali (che bella zappa sui piedi si è tirata), potrebbe tornare a esistere proprio con Tik Tok. Qui si avvererebbe una delle profezie più imprevedibili: quella che annunciava la video-critica come non più appendice di un film (i dvd ne sono pieni), ma proprio come funzione primaria di spiegazione o meglio di invito a vedere e soprattutto capire un film. Anche in tv. Ovviamente. Come hanno insegnato Claudio G. Fava, Vieri Razzini, Enrico Ghezzi. Per tirar fuori qualche nome.
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