Teocoli mattatore, Lodi si inchina

L’artista in coppia con Lavezzi trascina il pubblico

Lo ha ammesso anche lui: gli anni Sessanta hanno rotto un po’ le scatole, ma chi li ha vissuti non può fare a meno di parlarne. Perché tutto era diverso, più leggero, più romantico, più scanzonato. E Milano era il fulcro di quel fervore, artistico e musicale, che avrebbe poi partorito esperienze indimenticabili come il Clan di Celentano e l’epopea del beat. Un periodo fondamentale per la formazione di Teo Tecoli, acclamato protagonista giovedì sera sul palco dell’auditorium Bipielle. Insieme all’amico di sempre Mario Lavezzi, autore di alcune canzoni ormai entrate nel patrimonio della musica leggera italiana, il comico milanese ha raccontato con la solita ironia dissacrante il suo percorso artistico, tra aneddoti, gag e battute fulminanti. Nessuna scenografia, nessun copione preconfezionato e nessuna pretesa di portare sul palco stravaganti esperimenti teatrali: del resto Teocoli è un maestro dell’improvvisazione, e le due ore dello spettacolo sono scivolate via senza un attimo di sosta, alternando racconti e canzoni che hanno segnato indelebilmente non solo la carriera del comico ma anche la memoria collettiva italiana. A tratti Teocoli è parso fiume in piena, irrefrenabile, coinvolgendo il numeroso pubblico (la sala era completamente esaurita) con una serie di ministorie legate a personaggi come Adamo, Livio dei Camaleonti (che un giorno fu vittima di un crudele scherzo del comico che gli tirò un gavettone colpendolo proprio sulla testa cotonata con tanta pazienza), Ornella Vanoni alle Maldive «fulva di capelli e arrossata dal sole che sott’acqua sembrava un corallo rosso», e poi Lucio Dalla «l’uomo più peloso al mondo, se lo porti a Madonna di Campiglio lo puoi stringere e usare come sacco a pelo», Lucio Battisti e tanti altri protagonisti della nostra scena musicale. Il pubblico ride a ogni battuta, si diverte, applaude. E Teocoli si conferma il consueto trasformista, passando dal ruolo di cabarettista puro a quello di cantante sui generis, mentre il fido Lavezzi lo accompagna alla chitarra, per poi improvvisarsi eccellente imitatore. Di volta in volta assume i connotati di Maurizio Costanzo, Franco Sensi, fino a proporre il suo pezzo forte, lo “scimmiottamento” (riuscitissimo, per altro) dell’amico Adriano Celentano. Il “molleggiato” è una costante dello spettacolo, ritorna nei ricordi legati allo storico Clan («uno stanzone dove si riunivano gli artisti di Milano») e nelle canzoni. «Mi chiedono sempre perché lo imito da quarant’anni: ma io non lo imito, lo sostituisco. Se non ci fossi io certe canzoni dal vivo non si sentirebbero più». L’one-man-show si trasforma così in una sorta di karaoke, con tutto il pubblico che canta Una carezza in un pugno («Ma mi sembrate una processione!») e tanti altri successi d’antan. Tra uno sketch e l’altro, tra esilaranti ricordi scolastici e professionali, prima come sconosciuto cantante al Festival di Napoli e poi come attore nel musical Hair, lo show scorre via spedito prima dell’immancabile bis. Teocoli si presenta sul palco nelle vesti di Felice Caccamo, il giornalista sportivo napoletano con un rosso toupet di capelli diventato famoso negli anni Novanta quando era una la star indiscussa di Mai dire gol. Il monologo finale è uno spasso, con il pubblico che al termine si alza in piedi a salutare il grande mattatore.

Fabio Ravera

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