L’Ulster di ieri, quello dei troubles e del sangue di migliaia di vittime degli anni Ottanta, e quello di oggi, ancora incendiato dall’odio, illuminato a giorno nei roghi dei bonfire, dove la violenza è ancora nel dna di chi ci vive. Doppio appuntamento con la riflessione e con le “Storie dell’Ulster”, oggi e domani, al cinema Fanfulla di viale Pavia. Sullo schermo, la pellicola Hunger, durissimo spaccato firmato da Steve McQueen sulla storia di Belfast e delle persone che hanno vissuto il drammatico periodo dei troubles. Su carta fotografica e cavalletti, il viaggio per immagini di due fotografi lodigiani, Alberto Prina e Aldo Mendichi, che racconta l’oggi di quei luoghi. Fondatori del Festival della fotografia etica, animatori del gruppo Progetto Immagine, i due da cinque anni, due volte l’anno, viaggiano fino a Belfast per entrare dentro quella realtà, dove l’odio non va mai in vacanza, dove i ragazzini respirano nelle scuole il dramma della separazione, dove i muri che contraddistinguono le varie enclave della città, cattoliche e protestanti, non servono davvero a separare, ma sono il simbolo tangibile di quell’odio. L’esperienza diretta dei lodigiani di quell’odio che ancora vive e alimenta scontri e arma assassini (l’ultimo risale a qualche giorno fa, a rimetterci è stato un secondino del carcere di Maghaberry, istituto di massima sicurezza in cui vivono i detenuti dell’Ira dopo la chiusura dei celebri blocchi H di Long Kesh - che Alberto Prina e Aldo Mendichi sono riusciti a visitare grazie ai contatti con alcuni ex combattenti dell’Ira - e su cui si sono accesi i riflettori delle organizzazioni internazionali per i «trattamenti» corporali denunciati da alcuni detenuti) farà da filo conduttore tra la realtà di ieri e quella di oggi. Al centro del film, con le proiezioni in programma per stasera alle 21.15 e domani, alle 16 e alle 21.15, c’è la storia delle rivolta attuata all’alba degli anni Ottanta dai detenuti dell’Ira che chiedevano al governo inglese di riconoscere loro lo status di prigionieri politici e diedero vita a uno sciopero prima dell’igiene e poi, con Bobby Sands, della fame che portò alla morte dello stesso Sands, anche parlamentare all’epoca dei fatti, e di altre nove detenuti. L’esperienza dei due esperti dell’obiettivo, invece, è tutta nell’oggi, prima con i viaggi in solitaria, poi con i workshop organizzati con Progetto Immagine, di cui la mostra “Gente dell’Ulster” (che ha già debuttato al Festival di Besate) è solo un estratto e che, nei progetti futuri, dovrebbe culminare in un libro di immagini e didascalie. Un’esperienza di approfondimento in cui la fotografia diventa strumento per conoscere la realtà. «Ciò che ti colpisce di più oggi è entrare in contatto con una cultura che porta con sé una fortissima violenza, una cultura in cui la religione non è sostanza, ma appartenenza - spiega Alberto Prina -: siamo abituati a pensare a situazioni di questo tipo come lontane, figlie di contesti che nulla hanno a che fare con noi. Invece qui si tratta di persone come noi, che fanno parte del nostro continente, che vivono in luoghi a noi vicini, in cui le manifestazioni di odio non si fermano mai. Anzi, continuano a fare parte della quotidianità». Ad alimentarle di più oggi sarebbe la parte protestante, «che si sente abbandonata dall’Inghilterra perché queste vicende non sono più all’attenzione del governo - spiega ancora Prina -: un ex combattente, che è stato a lungo a Long Kesh in carcere, ci disse che in modo diretto o indiretto l’Ira tocca tutti: perché ci sono fratelli o amici in carcere, perché comunque ogni anno si ripetono gli scontri nelle rievocazioni di quel che è stato, con la città accesa dalle altissime pire innalzate nei luoghi cardine e su cui vengono bruciati i simboli della cultura dell’altro. Personalmente mi sono beccato un mattone in uno di questi scontri, lanciato un protestante che non voleva colpire me».
Rossella Mungiello
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