Un viaggio, un naufragio, la scoperta. Di se stessi e del mondo. Per arrivare fino al soprannaturale.
L’idea di girare un film da Vita di Pi attirava da molto tempo il regista premio Oscar Ang Lee che alla fine ha realizzato un’opera complessa e affascinante, difficile anche dal punto di vista produttivo e che, a dispetto della trama d’avventura, è ricca di significati e di spiritualità.
I temi del libro, infiniti, sottili e profondissimi si ritrovano tutti nel film, e Ang Lee riesce anche nella difficile impresa di non banalizzarli, pur concedendo parecchio allo “spettacolo” e all’emozione, in particolare con la scelta di girare in 3D che a tratti fa perdere l’introspezione che invece domina le pagine del romanzo.
Per i milioni di lettori che ha conquistato e per svariati motivi Vita di Pi è diventato una sorta di libro-simbolo, manifesto della ricerca interiore unita alla scoperta e all’avventura, dietro cui si celano significati profondi e ancestrali. I simboli e i rimandi contenuti nel testo sono davvero tanti, nella parte iniziale è spiegata la passione di Pi per le religioni, una ricerca che porterà il ragazzo a cogliere gli elementi più importanti di Induismo, Islam e Cristianesimo, che deflagreranno per ricomporsi poi nell’oceano, quando la ricerca di Pi diventerà ancora più concreta: una lotta per la vita condotta davanti all’immensità della natura.
Un sottotesto attraversa tutto il romanzo, con richiami più o meno espliciti e simbologie dichiarate, dalla tempesta fino alla piccola “arca di Noe” su cui trova rifugio Pi. Anche nella scelta dei nomi ci si può addentrare, con il rischio di “perdersi”: la sequenza matematica di Pi e poi Richard Parker, la tigre che si chiama come uno dei personaggi del racconto di Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe, la storia di un naufragio letterario che ha avuto poi incredibili contatti con la realtà. La realtà, appunto: non esiste una sola versione della storia, sembra dire l’autore, ma serve fede per sceglierne una.
Ang Lee maneggia tutta questa materia seguendo il tono del racconto attraverso una regia che all’inizio sceglie un tratto “fantastico”, prima di esplodere dalla scena del naufragio in poi, quando le emozioni diventano forti e si riducono al minimo le scelte a disposizione dei protagonisti, quando mostra che la sopravvivenza di uno può dipendere dalla morte di un altro. Anche se il 3D qualche volta sembra “appiattire” il significato della storia e il film stesso sulla componente più spettacolare invece di regalare profondità con la «terza dimensione».
Ma come Pi con il suo racconto fatto alla fine ai periti dell’assicurazione e allo scrittore, così riesce a fare Ang Lee con il film: rendere verosimile la versione più incredibile della storia, quella del ragazzo disperso in mezzo all’oceano per 227 giorni su una barca di sette metri in compagnia di una tigre.
Lucio D’Auria
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Vita di Pi
regia Ang Lee
con Suraj Sharma, Rafe Spall, Irrfan Khan
PRIMA VISIONE - Un viaggio, un naufragio, la scoperta. Di se stessi e del mondo. Per arrivare fino al soprannaturale. L’idea di girare un film da “Vita di Pi”...
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