VENEZIA 81 Francesca Comencini, papà Luigi e la magia del cinema

La recensione del film fuori concorso “Il tempo che ci vuole” e il toto Leone d’oro sul “Cittadino” in edicola questo sabato 7 settembre

“Il tempo che ci vuole” per mettere nel mezzo gli anni e la giusta distanza dai fatti e dalla propria storia personale. Il tempo che serve per raccontare di un padre così “ingombrante” e importante. In finale della Mostra del cinema 2024 – in attesa del film di chiusura di Pupi Avati “L’orto americano” e dei verdetti delle giurie dell’81esima edizione del festival – arriva come una lieta sorpresa (fuori concorso) il film diretto da Francesca Comencini “Il tempo che ci vuole” in cui la regista traccia un ritratto del padre Luigi intimo e spesso emozionante.

Un’opera fortemente e teneramente cinefila in cui la vita e l’arte si confondono, in cui il set e la cronaca della giovinezza di Francesca si legano indissolubilmente, mentre prende forma e resta in primo piano la figura dell’autore di “Tutti a casa”, del “Pinocchio” televisivo e di “Incompreso”. «Perché raccontate i fatti vostri nei film?» incalza sul finale Comencini padre (interpretato da Fabrizio Gifuni) ormai anziano quando la figlia ha appena fatto uscire il suo film d’esordio “Pianoforte” (premiato a Venezia nel 1984) in cui raccontava con molti risvolti autobiografici la vita di due tossicodipendenti. In realtà sembra che stia sollevando la domanda che si pone lo spettatore davanti a questa biografia filiale, così da rendere ancora più chiara la risposta. Francesca (nel film interpretata da Romana Maggiora Vergano rivelatasi al cinema nella parte della figlia di Paola Cortellesi in “C’è ancora domani”) racconta sì di Luigi ma in realtà anche di molte altre cose: il suo è un film sul rapporto tra genitori e figli, un film sulla fine della giovinezza e sulla scoperta dell’età adulta, e – non in coda – un film sul cinema e sul nostro Paese. Luigi e Francesca negli anni ’70 vedono scorrere tra i titoli dei Tg gli anni di piombo, mentre il regista lavora a un cinema popolare che ha sempre voluto innanzitutto conquistare il pubblico («è lui che decide alla fine la bontà di un film»). Partendo dai giorni sul set de “Le avventure di Pinocchio” Francesca Comencini racconta la sua infanzia vissuta sempre “in campo” - intesa come inquadratura cinematografica - e dentro la bocca della balena, bambina e poi ragazza e infine donna messa a confronto con le aspettative (alte) del genitore, in contrasto a una vocazione che faticava ad affermarsi. Francesca è un altro personaggio al pari di Pinocchio e di Lucignolo («è lui il personaggio più bello del libro», le diceva il padre sul set) e poi nel corso della vita una presenza nel cui sguardo si riflette la vita e la carriera del regista di “Tutti a casa”. Un autore che questo film aiuta a farci riscoprire tra realtà, racconto e finzione: «Il cinema è questa cosa qui - confessa Luigi alla figlia ormai adulta -: scappare con l’immaginazione».

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