Cultura
Lunedì 02 Settembre 2024
VENEZIA 81 I “lupi” Clooney e Pitt giocano a esaltare la comicità l’uno dell’altro
Il duetto in “Wolfs” presentato Fuori concorso da Jon Watts
Sono “Wolfs” - lupi solitari - e “risolvono problemi”. Certo non cinici e sorprendenti come quelli di “tarantiniana” memoria, un po’ invecchiati, con gli occhiali per leggere da vicino, ma pur sempre una coppia tutta da vedere. George Clooney e Brad Pitt godono un mondo a vestire questi panni, non è certo la prima volta che accade, occhieggiano alla camera da presa e “giocano” anche se il tempo dei fratelli Coen sembra essere decisamente lontano e qui si tratta più che altro di tenere in piedi un “buddy buddy” in salsa criminale, divertente e con una vena agrodolce sullo sfondo, diretto da Jon Watts che sin dal titolo rende omaggio proprio al leggendario personaggio di “Pulp fiction” interpretato da Harvey Keitel per perdersi però un po’ lungo la strada.
Clooney e Pitt in “Wolfs” (presentato Fuori concorso a Venezia 2024) fanno proprio quel mestiere, puliscono la scena dopo eventi criminali e cancellano ogni presenza di persone che mai avrebbero dovuto farsi trovare in quel dato posto una volta spuntate le luci dell’alba e quelle del luminol… Sono al servizio di non si sa bene che agenzia e per (s)ventura si trovano contemporaneamente sulla stessa scena, che si rivelerà più complicata del previsto. Tra occhiatine, battute, ingaggi, il tono vira subito in commedia e si capisce che ai due protagonisti tocca il ruolo preferito come detto in avvio, tra inseguimenti, pistole che sembrano caricate a salve e un gioco di sponda che punta a mettere in luce soprattutto le rispettive doti comiche. È passato qualche anno e il fascino è solo un po’ stropicciato e non può dirsi perduto, dopotutto quanto richiesto dalla storia è questo: divertire e tenere alta la soglia di attenzione. Compito che regista e interpreti, alla fine, eseguono alla perfezione.
Spiazzante è invece l’aggettivo che meglio può descrivere il cinema di Brady Corbet, sin dai tempi di “L’infanzia di un capo” che a Venezia vinse il premio De Laurentis nel 2015. E travolgente. Come accade anche con “The brutalist”, monumentale progetto di 4 ore di durata, girato in 70 millimetri, che irrompe nel Concorso con il dichiarato intento di travolgere (appunto) spettatori e concorrenti. Attraverso la storia di Làszlo Toth geniale e (immaginario) architetto scampato ad Auschwitz e approdato in America che Corbet racconta mentre sullo sfondo (ma in realtà in primo piano) si svolgono i principali eventi della seconda metà del Novecento, tra filosofia, storia, politica e architettura.
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