VENEZIA 81 Imprevedibile, leggera e serissima: la commedia francese delle “Trois amies”

Piace il film di Mouret n concorso alla Mostra del cinema mentre “Babygirl” è bocciato

Vivere è questa cosa qui: «Essere tristi, sentirsi perduti». E poi sorridere, innamorarsi, osservare la giostra dei sentimenti senza quasi avere il potere di farla fermare, o di salire e scendere a piacimento. Emmanuel Mouret è il primo dei tre autori francesi del Concorso di quest’anno a passare sullo schermo e il suo “Trois amies” sembra in qualche modo tirare un filo invisibile tra Rohmer e Woody Allen (citato sin dalla scelta dei titoli di testa) per legare i protagonisti della sua storia. Sulla sua di giostra troviamo le tre amiche del titolo alle prese con tradimenti, innamoramenti, lutti e desideri; i protagonisti sono “mogli e mariti” che affrontano in maniera opposta le dinamiche familiari, aiutandosi e nascondendosi a vicenda, dicendo piccole e grandi bugie a fin di bene o per convenienza personale.

Mentre attorno i colori della natura e il commento sonoro accompagnano lo svolgersi del racconto, come protagonisti supplementari, ma non secondari. Joan decide di lasciare il marito di cui non è più innamorata, Alice invece sostiene l’importanza di un matrimonio “di convenienza” e senza più amore, mentre Rebecca è quella ancora single che intrattiene una relazione clandestina con un uomo sposato… Mouret gioca con i luoghi comuni per disinnescarli e per ribaltare la prospettiva una volta che il giudizio dello spettatore sembra formato, usa il tono della commedia come gli autori a cui fa riferimento per alleggerire le cose serie di cui parla, per non far pesare lo spaesamento dei suoi protagonisti che si trovano a constatare l’imprevedibilità dei sentimenti e l’assoluta “leggerezza” delle proprie convinzioni. Serissimo, a dispetto di quanto vuol apparire, “Trois amies” alla fine è una delicata parabola che riesce ad andare in profondità, aiutata da un cast in stato di grazia (bravissime le tre protagoniste) e da una scrittura solida che non si perde tra le svolte narrative del racconto.Cosa che non capita allo “scandaloso” (l’aggettivo commercialmente dovrebbe far da traino, ma rischia di trasformarsi un boomerang) “Babygirl” di Halina Reijn (regista olandese in Concorso per la prima volta) che mette a nudo Nicole Kidman donna in carriera alle prese con un matrimonio insoddisfacente e con le proprie fantasie inespresse. Il film dovrebbe trasformarsi in un discorso su potere e sopraffazione, sul riscatto e sull’affermazione femminile, ma questo salto in avanti non avviene mai. E rischia invece seriamente di restare un tentativo voyeristico che non brilla nemmeno per passione e trasporto.

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