VENEZIA 81 Torna “Beetlejuice” con il vero spirito “burtoniano”

Oltre al film di apertura della Mostra del cinema sul “Cittadino” di oggi, 29 agosto, anche la recensione di “Nonostante” di Mastandrea

Sono passati 36 anni ma i fantasmi di Tim Burton sono più “vivi” che mai. Tanto hanno dovuto aspettare per tornare ad affollare gli incubi degli spettatori, il tempo necessario all’autore americano per tornare sui propri passi e regalare un sequel – a più riprese annunciato e mai realizzato – a quel suo primo grande successo del 1988. “Beetlejuice” insomma è tornato e come allora bisogna star attenti a non ripetere il suo nome per non evocare la sua comparsa dagli inferi. Lo fa con “sprezzo del pericolo” la Mostra del cinema di Venezia, edizione 2024 (la numero 81) che ha scelto “Beetlejuice Beetlejuice” come film di apertura assicurandosi un esordio allo stesso tempo “glam” e d’autore, con in passerella Monica Bellucci, Michael Keaton e la giovane star Jenna Ortega (la Mercoledì della serie tv Netflix e già attrice icona della sua generazione) e soprattutto il regista che qui aveva già portato opere simbolo come “Nightmare before Christmas” e “La sposa cadavere”, oltre ad aver ricevuto il Leone d’oro alla carriera nel 2007.

Una sfida importante per Tim Burton (e per la Mostra stessa) questo progetto a lungo cullato e portato in sala dopo così tanto tempo, con gli stessi protagonisti, una storia aggiornata, ma con l’obbligo di dimostrare che la vena creativa non si è esaurita e che – appunto – quell’universo al contrario, gotico e colorato, popolato di mostri che non fanno paura, di scheletri che inteneriscono e di struggenti e macabre storie d’amore ancora può conquistare e popolare l’immaginario dello spettatore. Dimostrare che “burtoniano” è un aggettivo che ha ancora una ragione d’essere.

Siamo dunque ancora a Winter River, c’è Lydia (Winona Rider) ancora dark anche se ormai donna e madre di Astrid una ragazzina inquieta quanto lo era lei da adolescente (Jenna Ortega) e c’è lui, Beetlejuice ovviamente, fantasma politicamente scorretto, che sotto il cerone ha ancora il volto di Michael Keaton. C’è in più Monica Bellucci, sposa cadavere (l’auto citazione è palese e molto ben centrata) che torna dagli inferi per vendicarsi dello spiritello dispettoso e che aggiunge al cast e alla storia una svolta narrativa supplementare. Il resto, come detto, è l’universo “burtoniano” in piena regola, quel mondo ribaltato in cui sono i vivi a perseguitare i fantasmi e in cui c’è un aldilà in cui i problemi sono più concreti e umani che mai. Tutto avvolto dalle musiche di Danny Effman che sono parte irrinunciabile e non semplice contorno e con la scrittura di Alfred Gough e Miles Millar entrati in squadra dopo aver sceneggiato la serie “Mercoledì”. Il risultato è vivo, vegeto, straniante come un’illusione ottica di Escher, divertente e colorato come un treno che viaggia verso il “grande ignoto” a tempo di musica. Perfettamente “burtoniano” insomma.

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