VENEZIA 81 Un insediamento agricolo, un pugno di case e la vita con le sue trasformazioni irreversibili

Athina Rachel Tsangari presenta “Harvest” alla Mostra del cinema mentre Guadagnino fa discutere con “Queer”

In un villaggio di agricoltori, sul tramonto del 1500, ambienta il sul film Athina Rachel Tsangari, che a Venezia era già passata nel 2010 con “Attenberg”. Inserita in Concorso in questa edizione della mostra del cinema, la regista presenta “Harvest”, tratto da un romanzo (omonimo) di Jim Crace, utilizzato per costruire un film denso e carico di linee narrative, tutte ben percorse dall’autrice. La storia si svolge tutta in un insediamento agricolo, un pugno di case, abitato da una comunità di agricoltori alle dipendenze di un proprietario terriero poco autoritario e comunque legato ai suoi lavoratori da rapporti in alcuni casi amicali. In questo contesto si inseriscono gli accadimenti che daranno il via a trasformazioni irreversibili.

Proprio come quelle vissute nel periodo storico raccontato, con il compimento della rivoluzione agricola e della proprietà terriera. Prima un incendio come avvisaglia dell’imminente tragedia, poi l’arrivo di alcuni stranieri respinti dalla comunità, infine un nuovo signore che reclama i terreni e pone nuove regole.

La metafora è dichiarata e l’universo bucolico descritto al principio, la sua trasformazione, diventano il territorio per raccontare storie universali, che superano ogni barriera spazio temporale. “Harvest” riesce a sorprendere per la linearità con cui riesce ad affrontarle risolverle tutte, conquistando l’attenzione dello spettatore anche nei momenti meno facili.

«Sono convinto che anche con la persona peggiore ci possiamo identificare». Luca Guadagnino invece racconta così la sua scelta di lasciarsi ispirare dal romanzo di William S. Borroughs “Queer” per il suo nuovo film, in Concorso a Venezia 81. Un romanzo breve e semi autobiografico - scritto nel 1952 ma pubblicato solo nel 1985 proprio per i temi espliciti del racconto - in cui il protagonista William Lee (interpretato da Daniel Caig, spogliato dagli abiti di James Bond con intenti commerciali?) va alla ricerca della propria identità tra il Messico e la foresta del Centro America, in un viaggio lisergico che permea tutta la seconda parte del racconto. «Il mio compito come regista è quello di ricercare l’umanità anche nelle persone più oscure», ha detto il regista parlando della sua opera che ha suscitato reazioni decisamente contrastanti nella proiezione per la stampa.

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