Vinterberg: sete di vita... da Oscar. Una danza contro la paura di morire
IL FILM: in sala “Un altro giro” del regista danese ha vinto il premio per il miglior film straniero
Bisognerebbe partire dall’ultima scena, da quella danza disperata e liberatoria: un inno alla vita, che è un salto nel vuoto. E poi andare a ritroso, per farci i conti con la vita.
Partito come un film che indaga sull’abuso di alcol tra i ragazzi in patria (siamo in Danimarca) “Un altro giro” di Thomas Vinterberg è diventato in corso d’opera tutta un’altra cosa. Durante le riprese come ha ricordato il regista ritirando l’Oscar (per il miglior film straniero), è morta la sua giovanissima figlia, e il suo film probabilmente ha preso la direzione che oggi vediamo sullo schermo. “Drunk” - ubriaco, il titolo in lingua originale - è diventato così “ubriaco di vita”.
La storia: quattro professori cinquantenni, delusi dalla professione, dalle rispettive routine familiari, vistisi cambiati e invecchiati, decidono di sperimentare su loro stessi la teoria di uno psicologo che sostiene la necessità di mantenere un tasso alcolemico alto nel sangue per avere i benefici di una vita più “leggera”.
Una tesi ardita e anche “scorretta” da raccontare in un paese in cui l’abuso di alcol tra i giovani è un problema sociale. Per il protagonista Martin e i suoi amici però i benefici arrivano, la timidezza passa, le malinconie scompaiono, il rapporto con gli studenti diventa amichevole come un tempo. Fin quando il limite che si erano imposti non viene oltrepassato…
“Un altro giro” è un film sul tempo e sulla giovinezza che sfiorisce, un viaggio tortuoso e non conciliante nel malessere dell’uomo che vede svanire i suoi anni migliori. Non è quindi sullo psicologo e sulla sua tesi sull’alcol che bisogna fermare l’attenzione, piuttosto sul Kierkegaard che il regista cita sui titoli di testa: “La gioventù è un sogno. E l’amore è il contenuto del sogno”.
Secco, senza sconti, mai conciliante e anzi spesso disturbante, Vinterberg (regista del bellissimo e altrettanto complesso “Il sospetto” e agli esordi nel manifesto Dogma con Lars Von Trier) lavora in soggettiva disegnando la parabola dei quattro amici, raccontando le loro aspettative andate deluse, la loro allegria artificiale e disperata. Il sogno e la disillusione. E la paura della morte.
Non è certo la prima volta che il cinema racconta l’alcolismo, ma quello che il regista danese fa è profondamente diverso dal racconto di una dipendenza. Martin e i suoi amici toccano quel confine prima di fermarsi, e Vinterberg con loro devia in un’altra direzione per raccontare altro. Rischiando anche di apparire troppo benevolo sui rischi dell’abuso di superalcolici. Presto però viene fuori l’umanità dei protagonisti, il loro disagio, la disperazione delle domande che si fanno e che restano senza risposta. E a restare nella testa non sono quelle legate “all’esperimento” che conducono e in cui si convincono di credere. La sete è sete di vita, che esplode nella meravigliosa scena finale in cui Mads Mikkelsen (davvero una prova d’attore straordinaria la sua) danza contro la morte e contro il tempo che si è portato via i sogni di gioventù. Forse finalmente riconciliato e alla fine in grado di sentire e di capire. Capire il passare delle stagioni, l’importanza dell’essere vivi e di abbracciare un amico.n
“Un altro giro”
Regia Thomas Vinterberg
Con Mads Mikkelsen
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