Wonder Woman, la rivincita del “girl power”

Si era capito subito alla prima, fugace, apparizione che la sua non sarebbe stata una rapida comparsata. L’irruzione sul set di Batman vs Superman avrebbe dovuto far drizzare le orecchie anche ai più distratti e far loro intuire che tutti quanti ci trovavamo davanti a un personaggio “centrale” della letteratura a fumetti, trasportata al cinema. È bastato quindi attendere l’arrivo in sala di Wonder Woman per avere conferma che la supereroina di Gal Gadot era davvero destinata a lasciare un segno nell’immaginario degli spettatori (e non solo in quello, visti gli incassi planetari…).

Ma quale personaggio “laterale” in un mondo, fin qui, dominato dagli uomini, costruito a immagine, somiglianza e misura di maschio… L’eroina super creata da William Moultom Marston nel 1941 spariglia completamente il gioco sul tavolo per rivelarsi davvero una delle novità più liete all’interno di un meccanismo - quello dei comics al cinema - che tra sequel e reboot vari ha ultimamente mostrato la corda. Moderna, affascinante, ironica e assolutamente aderente ai tempi la Wonder Woman diretta da Patty Jenkins è già un piccolo catalizzatore di record a cominciare - non per esser venali - da quello degli incassi (il miglior esordio di sempre per una regista donna) che in tempi di quote rosa e pari opportunità non è banale.

Attualità, fumetto e un po’ di sociologia spiccia, mito e battaglia si mischiano nella vicenda della super donna della Dc Comics che questo film va a ripescare alle origini, sull’isola di Themyscira dove le Amazzoni vivono (apparentemente) al riparo dai pericoli, dopo che Zeus ha combattuto e allontanato il figlio ribelle Ares, dio della guerra. Si prende avvio dalla mitologia quindi per spostarsi presto al tempo della Grande Guerra, dove Wonder Woman fa irruzione per boicottare il piano criminale tedesco che progetta di seminare distruzione e morte attraverso gas letali.

Moderna si diceva, attuale, politica, con un sottotesto interamente costruito sulla dialettica classica tra buono e cattivo che qui diventa “uomo vs donna”, con la rappresentazione di un mondo governato da generali (maschi) che comandano e non combattono e in cui serve una donna (per quanto “straordinaria”) per rimettere ordine alle cose. Qui si sprigiona tutta la forza di Gal Gadot, modella-guerriera, ex Miss Israele e per due anni soldatessa arruolata tra le forze di difesa israeliane, che fa scattare un corto circuito continuo tra realtà e finzione, tra personaggio e interprete, davanti e oltre lo schermo. Limitarsi alla storia raccontata dal “fumetto” è infatti più che mai riduttivo: arrivati all’ennesima puntata di una saga anche i fan più sfegatati rischiano di annoiarsi. Qui il campionario è espresso per intero: c’è la parte epica all’inizio e alla fine (prima sull’isola del mito poi in trincea nella Prima guerra mondiale), con in mezzo i personaggi e le situazioni che dovrebbero alleggerire e divertire (e in verità appesantiscono parecchio tutto). Quello che invece c’è di differente è proprio lei: Gal Gadot che “è” Wonder Woman e non perché avete letto che, grazie all’addestramento militare, ha girato le scene senza controfigura, ma perché incarna esattamente lo spirito del personaggio, rendendolo attuale e credibile come poche altre volte accaduto in questo genere di film. E questo, da solo, se non siete tifosissimi del genere, già conta parecchio.

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