Il vocabolario dell’aggressività lodigiana, che ha occupato ben due puntate di questa rubrichetta, comprende, come abbiamo visto, papine e slepe, scüfioti e slavadenti, paton e catafighi ecc. ecc. Ma non basta: c’è anche chi non rispetta le regole del gioco “di mano” e usa altri mezzi. Ad esempio Mike Tyson, in un famoso incontro di quindici anni fa, quando ha staccato un pezzo di orecchio all’avversario con un morso (lod. sgagnon), mostrando come la cosiddetta “arte nobile” possa venire contaminata da “atti ignobili”. È vero che Tyson non è - per nostra fortuna - lodigiano, ma anche a Lodi si sgagna, cioè si morde, preferendo però in genere qualcosa di più appetitoso di un orecchio umano. Sgagnà significa infatti anche ‘masticare’, ‘addentare’, verbo che volentieri associamo al panino (bufet) e alla coscia di pollo (galon), alle mele (pum) e alle castagne secche (ciuchin).
Sgagnà è una parola antica, diffusa in Lombardia e zone limitrofe. Lo troviamo infatti già nel latino maccheronico di Teofilo Folengo, autore mantovano del 1500, che scrive: “[...] panem blotum sgagnat”, dove il “panem blotum” è il pane senza companatico (lod. biut: ‘nudo’). Nota per etimologisti e cinofili: sgagna ci viene da cania, tardo latino per ‘cagna’, a riprova che il morso è azione tipica del cane e non del pugile.
Un diverso modo di mordere è pià. Il verbo piare, comune ai dialetti di tutto il nord, è anch’esso di derivazione tardo-latina, sebbene sul termine originario gli studiosi non trovino un accordo. Il senso è quello di afferrare con la bocca o col becco, quindi ‘mordere’, ‘beccare’, ‘pungere’, a seconda di chi compie l’azione, come nelle frasi: “me son piad la lengua”, “el can el m’à piad la gamba”, “el galet el m’à piad el didon”, “son pien de piade de sinsale”. Ed anche “ociu, che l’acqua la pia”, cioè ‘scotta’; oppure “va che quela lì la pia”, ‘attento che quella morde’, riferito a persona dal carattere spigoloso.
Il pungere degli insetti o di piante urticanti si può esprimere anche con bisià, voce di area lombardo-emiliana, imitativa del ronzio delle vespe. Bisìa è, nei diversi dialetti, l’ortica oppure la vespa o insetti simili (detti anche bision), ma si usa anche, al pari di pià, per indicare l’effetto di cibi troppo piccanti sulla bocca o sulla gola.
E chi non ha denti, becco o pungiglione come si difende? Con le unghie. Il gatto, ad esempio, come tutti i felini, è bravissimo a sgrafignà. Sgrafignà è un verbo diffusissimo nei nostri dialetti, dal Piemonte all’Emilia fino al Triveneto, registrato anche dai vocabolari di italiano come “voce famigliare”. Al senso originario - presente già nel latino medioevale - di ‘graffiare’ si è aggiunto nel XVI secolo quello di ‘rubare con destrezza’, forse proprio con riferimento al comportamento del gatto. Gli studiosi concordano sulla remota provenienza germanica della parola, i cui pronipoti possiamo intravvedere ancora oggi nell’inglese scrape e nel tedesco kratzen (grattare).
Sempre dal germanico (ma altri ipotizzano un’origine latina) abbiamo sgarbelà, con la stessa area di diffusione di sgrafignà, ma con significato limitato a ‘graffiare’, ‘lacerare’ con unghie, spine, oggetti appuntiti o superfici ruvide.
© RIPRODUZIONE RISERVATA