A scuola, dai professori, per il rito dei colloqui

di Alberto Campoleoni

Sarà capitato anche a voi… di andare a scuola dei figli per parlare con i professori. È una specie di rito che in queste settimane conosce una speciale accelerazione: nelle scuole superiori, in particolare, succede che all’avvicinarsi delle vacanze di Natale si faccia il primo “punto della situazione” sull’andamento scolastico di ragazze e ragazzi. Ormai ci sono/dovrebbero esserci voti a sufficienza sui registri, alunni e insegnanti hanno avuto il tempo di conoscersi e familiarizzare anche dove il rapporto è cominciato solo all’inizio dell’anno (naturalmente per chi non è nelle prime classi o non si è trovato a cambiare docenti la situazione è differente) e la fine del primo quadrimestre si avvicina a grandi passi. Così succede che le scuole organizzino grandi tornate di colloqui, che si aggiungono a quelli già previsti negli orari settimanali dei docenti.

Code di genitori fuori da un’aula, in attesa di “conferire” con i docenti di italiano, matematica, fisica, inglese – sono i più gettonati, ma vale come esempio – con il fiato sospeso in attesa di un giudizio. Qualche minuto di colloquio e poi via, con il viso sollevato o gli occhi abbassati e qualche preoccupazione in più a seconda delle parole appena ascoltate.

Poi va in scena il secondo atto: il rientro a casa e il feedback con i figli, o tra i due genitori (se non succede, come talvolta è prassi, che uno dei due deleghi in tutto l’altro), magari con la necessità di raddrizzare le cose. Pacche sulle spalle o, più spesso, urlate per quel figlio “che è bravo ma non si applica”, dialoghi pensosi e preoccupati quando si scopre che “proprio non ce la può fare”. Quando va bene, una risata e un incoraggiamento.

Questo rito, complesso, dei colloqui tra genitori e insegnanti, dice molto di come sono le famiglie e di come è il rapporto con la scuola, vissuta talvolta soltanto come un esame da superare, quasi un “nemico” rispetto al quale prendere le misure. Anzitutto dice che questo rapporto è vissuto prevalentemente in modo individuale: si pensi al contrasto tra le code per i colloqui con i docenti e le aule semideserte delle assemblee di classe per l’elezione dei rappresentanti. Si fa “da sé”. E se per certi versi è inevitabile – il cammino scolastico è differente per ciascun allievo – per altri si rischia di perdere un po’ del senso stesso dell’esperienza scolastica che passa attraverso la collegialità (dei docenti e degli allievi) e l’interazione tra istituzioni. Si tratta, naturalmente, non di sottovalutare la dimensione dei singoli, quanto piuttosto di recuperare i rapporti condivisi, gli orizzonti più ampi di quelli delle singole famiglie, le prospettive e le dinamiche che vanno oltre i “giudizi” e i voti.

Prospettive e dinamiche che aiutano anche a casa, quando si tratta di “conciliare” le esperienze diverse dei ragazzi, non riducibili all’andare bene o male a scuola. I colloqui con gli insegnanti possono risvegliare meccanismi importanti nelle famiglie: dialogo, scontro, discussione, accoglienza, rifiuto, incoraggiamento, riconoscimento o disconoscimento… quanti atteggiamenti diversi magari a partire da un semplice “ritorno” da scuola a casa.

Vivere con consapevolezza queste occasioni può trasformare un rituale stressante in opportunità. Condividerle in famiglia e tra famiglie permette di “guadagnare” qualcosa in più.

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