Editoriali
Lunedì 13 Novembre 2017
Europa, una marcia in più: male però giovani e salari
di Gianni Borsa
Dopo cinque anni di crescita, modesta ma continua, «adesso l’economia Ue ha una marcia in più». Pierre Moscovici, commissario per gli affari economici e finanziari, presenta le Previsioni economiche d’autunno. Il commissario francese da 18 trimestri, porta buone notizie nella sala stampa del palazzo Berlaymont e anche questa volta non tradisce le attese. Il Pil cresce su scala europea attorno al 2%: un po’ meglio quest’anno, in lieve frenata nel 2018 e 2019. Le Previsioni dell’Esecutivo guardano infatti all’orizzonte triennale, benché, puntualizza lo stesso Moscovici, «ragioniamo a condizioni generali invariate». Ci vuole dunque prudenza, nei prossimi 24 mesi il quadro di fondo potrebbe mutare. Poi dallo stesso Moscovici l’abituale appello agli Stati membri: «Ognuno faccia la sua parte. Bisogna sostenere la crescita con investimenti e riforme». Si può far conto anche sulla leva fiscale. Infine insiste sulle due maggiori preoccupazioni : anzitutto la disoccupazione cala ma non abbastanza e non presenta medesimi ritmi in tutti i Paesi; secondo, i salari non crescono a ritmi sufficienti.
Si parte dai dati: per l’esecutivo la crescita della zona euro appare duratura, con un ritmo di sviluppo pre-crisi. Il Prodotto interno lordo per Eurolandia si attesta al 2,2% quest’anno; 2,1% il dato del 2018 e 1,9% l’anno successivo.
L’Ue nel suo complesso rafforza la crescita: 2,3% nel 2017, quindi 2,1 nel 2018 e 2,0 l’anno dopo. Tutti questi numeri escludono il Regno Unito: l’economia non fa sconti e Londra, con la scelta del Brexit, è già intesa come “Paese terzo”. Moscovici elenca numeri e scorre tabelle riguardanti deficit annuali (situazione relativamente sotto controllo), debiti statali (in calo, ma rimangono le anomalie greca, italiana e portoghese), inflazione (prezzi fermi). Sul mercato del lavoro scrive nel documento previsionale: «Quest’anno il tasso di disoccupazione nella zona euro dovrebbe attestarsi in media al 9,1%, raggiungendo il livello più basso dal 2009, con un record del numero totale degli attivi». Nei prossimi due anni la disoccupazione scenderebbe ulteriormente all’8,5% nel 2018 e al 7,9% nel 2019. Nell’Ue27 il tasso di disoccupazione è stimato al 7,8% quest’anno, al 7,3% nel 2018 e al 7,0% nel 2019. «La creazione di posti di lavoro potrebbe rallentare a causa della sospensione degli incentivi fiscali temporanei in alcuni Paesi e dell’emergere di carenze di personale qualificato in altri». Anche in questo caso ci sono Paesi virtuosi, con livelli di disoccupazione minimi (la Repubblica Ceca detiene il record positivo con il 3%; a seguire Germania, Austria, Malta, Polonia, Ungheria, Irlanda, Paesi baltici, Svezia, Danimarca) e altri con realtà diversamente problematiche (Grecia 21,8%; Spagna 17,4; Italia 11,3; Croazia 11,1).
A Moscovivi fa eco il collega Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione responsabile per l’euro: «La crescita e la creazione di posti di lavoro sono solide, aumentano gli investimenti e calano gradualmente il disavanzo e il debito pubblico. Tuttavia esistono differenze significative tra gli Stati, alcuni dei quali continuano a registrare una notevole stasi nel mercato del lavoro». Ed ecco un ulteriore richiamo sul versante “sociale”: «Le nostre politiche devono rimanere incentrate su una crescita basata sulla sostenibilità e sull’inclusione». È necessario “garantire un’ampia redistribuzione dei benefici della crescita nelle nostre società”.
Numeri a parte, le valutazioni della Commissione chiamano in causa le responsabilità dei governi, i quesiti attorno a Brexit e Catalogna, il compito della Banca centrale – che continua ad avere «una politica monetaria molto accomodante» –, il ruolo di banche e imprese. Non si può dimenticare peraltro che la ripresa in atto non crea ancora un numero adeguato di posti di lavoro per recuperare quelli persi negli anni peggiori della recessione. Si fa conto, non di meno, sulle buone performance economiche di Cina, Russia e Brasile, mentre si profila il pericolo di una “involuzione protezionista” degli Stati Uniti.
Inoltre – la cronaca lo conferma ogni giorno – vanno considerati seriamente gli interrogativi che emergono da un possibile conflitto coreano, dall’instabilità di Medio Oriente e gran parte d’Africa, dalla tenuta dell’euro sui mercati finanziari. Quello che è chiarissimo è che l’economia europea è interconnessa, ben più della politica Ue. Il mercato unico e, per chi l’adotta, l’euro impongono politiche di sostegno, di riforme e di rigore per favorire conti pubblici sani, investimenti produttivi, livelli salariali al passo con i prezzi, welfare diffuso. L’economia scavalca i confini e ciascuno è responsabile per sé e per gli altri compagni di cammino.
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