Giovedì Santo: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve»

IL COMMENTO Di don Guglielmo Cazzulani

Lodi

Se c’è un passaggio contro la politica, distruttivo della casta, appare proprio nell’istante in cui meno te lo aspetti: in quella sera intima, in cui Gesù si mette a tavola con i suoi discepoli. “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve”. Proprio così dice Gesù. A scovarne uno cattivo, reo confesso dei suoi istinti di male, non lo trovi nemmeno a cercarlo con il lumicino. Tutti sprofondano in lodi sperticate di se stessi, in statue da erigere, in piazze da intitolare. Chi detiene il potere è arciconvinto di essere un benefattore dell’umanità. Vogliono essere anche lodati per questo motivo, persuasi come sono di agire per il bene. Poi non si capisce da che parte entrino tutti questi spifferi di freddo che raggelano il mondo.

Gesù alza una barricata, quasi sentisse, annusasse, come certi animali che percepiscono in anticipo l’arrivo di un terremoto. Sa che il pericolo non è lontano. Quella frase contro il sistema, con una logica quasi anarchica, sgorga dalle sue labbra come reazione all’ennesima disputa tra i discepoli su chi fosse il più grande.

Gesù, per sottolineare il concetto, si cinge un grembiule e passa in rassegna i suoi discepoli, lavando loro i piedi. Che il gesto abbia in sé qualcosa di inquietante me l’ha spiegato in questi giorni la reazione stupita di un chierichetto della mia parrocchia, appartenente all’ultima nidiata: non voleva credere che qualcuno durante la messa si sarebbe tolto scarpa e calzino, e noi saremmo passati a lavare i piedi. C’è qualcosa di eversivo nella liturgia del Giovedì Santo, qualcosa a cui non dobbiamo mai permettere l’assuefazione. La messa non è solo ampolline e campanelli, è anche piedi, servizio, odori sgradevoli, ginocchia che si piegano, poveri.

“Voi però non fate così”. Con un’avversativa del genere, Gesù alza una barriera. Di qua dal distinguo nasce e prospera un mondo che non c’è mai stato, e che mai forse si realizzerà completamente.

Nodoso come un olivo, con le scottature di tre anni di cammino, e con ferite che non si rimarginano, Gesù per l’ennesima volta denuncia i mali che ci affliggono e tenta di porre ad essi rimedio.

Sembra facile: ma è l’avventura di una libellula che si scaglia contro il vento di una tempesta. “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”. Noi certe cose le lasciamo agli schiavi, o agli operai sottopagati, privi di qualifica.

Così va in scena la ribellione alla malinconia di un mondo che sembra procedere sempre alla stessa maniera, che cade invariabilmente nelle medesime trappole.

Ma ad ogni messa tornano quelle parole, ripetitive solo perché noi non cambiamo mai.

Se c’è un punto da cui posso tentare di ricostruire il mondo, mi sembra che sia la penombra dell’ultima cena, con gesti umili da far paura. Gesù ripete in continuazione: prendete, prendete. Nessun Dio l’aveva mai fatto, però a pensarci bene, nessun uomo nemmeno lo aveva mai fatto.

La rivoluzione del mondo credo cominci da qui.

© RIPRODUZIONE RISERVATA