I “Leoni dell’Atlante” fanno sognare l’Africa

Il commento di Daniele Bellocchio

“Il Marocco è un mosaico di popolazioni diverse e simili, accomunate dal forte senso di appartenenza a una stessa nazione”. Le parole dello scrittore di Fes Tahar Ben Jelloun rilette a poche ore di distanza dalla conquista della semifinale dei mondiali da parte dei Leoni dell’Atlante, hanno un significato quanto mai tangibile ed ecumenico.

Uno dei campionati del mondo più discussi della storia sta per volgere al termine e a contendersi il titolo ci sono la favoritissima Argentina di Messi, la Croazia di Modric, la Francia di Mbappe e il Marocco del già leggendario mister Walid Regraui.

Non ci sono tra gli undici uomini in maglia rossa e verde nomi che appartengono al Pantheon galattico e milionario del calcio moderno. Sono ragazzi figli della diaspora, 14 su 25 giocatori del Marocco sono nati all’estero, e di madri che hanno pulito le corsie degli ospedali, le case private in Europa e servito nelle mense scolastiche per supportare i loro figli nel loro percorso professionale.

E a tifare per il Marocco oggi c’è quel “mosaico plurale di genti” di cui parla l’intellettuale marocchino Ben Jelloun, che va da gli ultimi del pianeta agli ultimi amanti del calcio romantico.

Il sogno della coppa del mondo sollevata dal capitano Sofyan Amrabat è pulsante in tutti i paesi africani, visto che l’Africa ha raggiunto per la prima volta nella storia la semifinale del mondiale, e in coloro che si ostinano a credere che, nonostante tutto, recitando Maradona, “la pelota non se mancha” “il pallone non si macchia!”. In un’epoca calcistica fatta di plusvalenze e di contratti milionari, di diritti violati e voltafaccia planetari, il Marocco in questo mondiale sta andando controcorrente ergendosi a paladino delle minoranze e a icona di un calcio più genuino, più umano, dal sapore dei campi di terriccio e non delle criosaune, delle figurine e non dei selfie e poi, più di tutto, della magia delle mamme a celebrare con i propri figli la vittoria in mezzo al campo e non delle compagne influencers a polemizzare con gli allenatori dalla tribuna.

Chi ama il calcio, o meglio, l’autenticità di questo, può tifare solo Marocco perché quell’utopia che tutto non sia ancora andato perduto, che il calcio non sia solo milioni e spacconate, social network e sponsor, oggi è sorretta dai Leoni dell’Atlante.

L’Africa ci ha fatto scoprire di nuovo un’innocenza e una poesia di cui ci eravamo dimenticati e per questo, indipendentemente da come finirà, nei confronti dei ragazzi di mister Regraui ci dobbiamo sentire in parte debitori e quindi supportarli intimamente in questa ultima fase del torneo è un gesto di personale riconoscenza che val la pena fare.

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