Il delicato equilibrio tra pubblico e privato
di fronte alla partita del nuovo stadio a San Donato

Il commento di Marco Ostoni

Un’inchiesta sul «Fatto quotidiano» dedicata al futuro del Meazza e agli interessi ad esso collegati, fra lobbies economico-finanziare e legami politici a vario livello, ha riportato in queste ore l’attenzione sul tema-stadio. Non solo del Milan, questione che tocca da vicino San Donato in quanto sede prescelta dai rossoneri per la possibile alternativa a San Siro, ma anche dell’Inter, il cui “piano B” - qualora non risultasse percorribile l’opzione-Milano, in coppia con “i cugini” o in solitaria - sarebbe a Rozzano, una manciata di chilometri più a ovest rispetto alla cittadella dell’Eni.

La fine del mese di giugno potrebbe essere il momento decisivo perché fra le tre strade al momento percorribili (ristrutturazione di San Siro, demolizione e ricostruzione dello stesso secondo nuove logiche più appetibili alle società, o due nuovi stadi nel Sud-ovest Milanese) si arrivi finalmente a una decisione. Una volta svelato nei dettagli il progetto per la rimessa a nuovo del glorioso impianto meneghino e incassata la risposta delle società si potrà finalmente uscire dall’impasse e avere davanti un quadro ben definito.

La partita in gioco, per restare nel gergo calcistico, è imponente e lo è soprattutto nel caso in cui dovesse essere scartata l’opzione - indubbiamente la meno impattante - di una permanenza delle due società a Milano, sia essa con un San Siro rinnovato o uno tutto nuovo, con annessi e connessi in termini di servizi e attività a latere.

Il punto cruciale, in tutti i casi, risulta l’equilibro fra gli interessi, legittimi, di Milan e Inter, e l’interesse pubblico, faro che dovrebbe illuminare le azioni delle amministrazioni coinvolte, a partire dai Comuni. E qui sta il “busillis”, perché il concetto di interesse pubblico o bene comune che dir si voglia non è certo univoco e, la storia insegna, muta con i tempi. Oggi, infatti, non ci si può certo più porre dinnanzi a un progetto di grosse dimensioni con la sola logica delle ricadute positive in termini economico-finanziari (gli oneri da utilizzare per rimettere in ordine una città o la messa a disposizione di qualche posto di lavoro in più), ma occorre avere ben chiari i contraccolpi di natura ambientale, socioculturale e di qualità della vita, che vengono chiamati in causa. E tutto ciò lo deve fare l’ente pubblico.

L’impressione di chi scrive è che non stia accadendo. L’azione del Comune di San Donato, in tal senso, è una cartina tornasole di un approccio datato davanti ai grossi temi in questione. Lo è oggi come lo era ieri (la città sta pagando, ad esempio, la scelta di non opporsi all’Eni quando una quindicina di anni fa decise, per interessi squisitamente finanziari, di costruire un nuovo palazzo uffici, il sesto, la cui scarsa utilità oltre che il suo impressionante “ingombro” sono evidenti davanti allo svuotarsi di altre sedi del gruppo).

Ma dal passato si dovrebbe imparare e, dunque, perché non provare a farlo? L’attuale giunta, al di là delle dichiarazioni di intenti (l’ultima sul Notiziario di giugno dedicato alle politiche “verdi”), non sembra andare in questa direzione, anche perché - sempre secondo chi scrive - appare poco propensa ad ascoltare altre voci, come dimostra, a oggi, lo scarso o nullo coinvolgimento dei cittadini (se non ora, quando?) di fronte al possibile progetto dello stadio del Milan nell’area San Francesco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA