Editoriali / Lodi
Martedì 05 Dicembre 2017
Il mattone prova a ripartire ma le case restano vuote
di Gesualdo Sovrano
Tante, troppe case vuote, annunciate da una sequela di sbrigativi cartelli “vendesi” oppure “affittasi”. Ancor prima che colpevole spreco di risorse, è un chiaro indizio di mancanza di senso civico e morale, soprattutto se si pone mente a chi una casa non ce l’ha o dorme in giacigli di fortuna. Secondo i dati emersi da un incontro svoltosi a Zelo Buon Persico e promosso nell’ambito dell’iniziativa “conoscere, partecipare, decidere”, resi noti da “il Cittadino” dell’11 novembre, le abitazioni vuote o non utilizzate né come prima casa né affittate sono nel Lodigiano 5.459 su un totale di 77.000 unità abitative presenti nel territorio provinciale, vale a dire il 7,1%. Se poi andiamo a mettere il naso nella vicina metropoli i numeri sono da capogiro.
In terra milanese, secondo i dati del sindacato edilizia Sunia, le case vuote sono all’incirca 80.000 su un totale di 785.000 unità, pari al 10,2%. Occorre, tuttavia, precisare che in questi ultimi tempi i proprietari di case preferiscono metterle in vendita o concederle in affitto piuttosto che tenerle vuote, perché su queste la tassazione Imu è diventata particolarmente severa. Insomma, si costruiscono più abitazioni di quante ne richiede il mercato o la domanda sociale e l’invenduto si gonfia. È una situazione grottesca e paradossale. Un bel modo di risparmiare i suoli agricoli e stoppare il consumo di suolo, secondo quanto promettono politici e amministratori che confidano di raggiungere il tasso zero a metà secolo ai sensi della normativa comunitaria.
La verità è che, nonostante l’apparente severità delle puntigliose leggi urbanistiche, in Lombardia si continua a costruire a tutto spiano. Mille sono le leggi che regolano l’uso del suolo, mille sono le scappatoie per eluderle. Qual è il senso di questa ridondante normativa?
Il suolo agricolo è una risorsa sacrale, destinata in modo esclusivo alla coltivazione. Ma, se le esigenze abitative lo richiedono, si può tranquillamente costruirci sopra case e quant’altro. Punto e basta. Così i sindaci fanno a gara per “ingrandirsi” richiamando nuovi residenti, senza minimamente considerare che molte di quelle case resteranno invendute. Oltre tutto si punta sul mattone in una fase sfavorevole in cui l’andamento demografico, dopo anni di crescita, diventa piatto e la popolazione non aumenta. La ragione è che il saldo naturale va in negativo (più decessi che nascite) e al tempo stesso il bilancio migratorio tende a diminuire (meno iscritti e più cancellati), ovvero più partenze e meno arrivi dall’estero o da altri comuni. Questo è il caso di Lodi, di Milano e di altre realtà urbane piccole o grandi, a giudicare dai dati censuari dell’Istat e di quelli anagrafici.
La conferma che l’edilizia non si ferma, nonostante l’aria di crisi che tira, viene dal colpo d’occhio sulle nuove lottizzazioni disseminate di gru e cantieri. Contano, però, solo i numeri. Secondo i dati rilevati dall’Istituto superiore per la ricerca e la protezione dell’ambiente (Ispra), la superficie artificialmente impermeabilizzata nel Lodigiano era, nel 2016, di ettari 10164, pari al 12,9% del territorio, con un incremento annuo dei consumi del 29% rispetto al 2015.
È importante sottolineare che un tale andamento potrebbe risentire tanto della crescita urbana quanto della proliferazione di infrastrutture comunali o sovracomunali (tangenziali, autostrade, strade, ferrovie, aeroporti, ecc.).
In conclusione, il monitoraggio dell’uso del suolo ha fatto in questi ultimi anni progressi sorprendenti, grazie all’entrata in fase operativa di importanti centri di ricerca quali Ispra e O.n.c.s (Osservatorio nazionale) e delle relative reti, pur tra difficoltà e incertezze di vario genere. Nulla sfugge all’occhio indagatore dei satelliti, ma la sparizione dei terreni agricoli prosegue inarrestabile.
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