La crisi della nostra sanità: le ragioni di Meloni e Schlein

IL CASO PNRR Speso solo il 20% degli investimenti a disposizione per il comparto

La dialettica tra maggioranza e opposizione è il sale della democrazia. Che alla Camera si siano duramente scontrate la premier e la leader del principale partito di opposizione non può essere quindi motivo di scandalo, anzi. Con la pseudo-democrazie che nel mondo vanno per la maggiore c’è quasi da esserne rassicurati. Tanto più che per una volta la sede era quella istituzionalmente deputata al dibattito – il Parlamento – e non qualche talk show televisivo e che l’argomento del contendere era tra i più seri e concreti sul tappeto – la sanità – e non un’astratta questione ideologica.Ciò premesso, la dialettica non può essere fine a se stessa, né ridursi a una competizione di tipo calcistico. Non è importante stabilire chi abbia vinto e chi abbia perso, ma mettere i cittadini nelle condizioni di formarsi un’opinione motivata e onesta. E qui purtroppo il meccanismo s’inceppa perché non ci si riesce a intendere neanche sulla configurazione reale dei problemi. In linea di massima la questione sembra porsi in questi termini. Giorgia Meloni sostiene che nel comparto sanitario il suo governo ha messo in campo interventi record. Elly Schlein afferma invece che la spesa sanitaria è diminuita. C’è del vero in entrambe le tesi ma non si può certo dire che esse siano equivalenti. Il marchingegno logico è analogo a quello che mette a confronto i salari nominali – che crescono per l’inflazione – e i salari reali.

Il governo può legittimamente rivendicare di aver innalzato gli investimenti nella sanità a 136,5 miliardi, ma in rapporto al Pil, che misura la ricchezza prodotta nel Paese, la spesa sanitaria è scesa al 6,4%, il livello più basso da molti anni. L’analisi è complicata dalla valutazione degli effetti indotti dalla pandemia. In un’audizione parlamentare alla fine dello scorso anno, mentre si discuteva della manovra economica per il 2025, il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, ha riferito che proprio a causa della pandemia nel triennio 2020-2022 la spesa sanitaria è esplosa, passando da poco meno 114,7 miliardi nel 2019 a 130,8 miliardi nel 2022. Nel 2023, però, si è osservato un calo dello 0.4% rispetto all’anno precedente e soprattutto si è registrato un aumento della spesa direttamente a carico delle famiglie, salita a oltre 40,6 miliardi, con un incremento dell’1,7%. Con quali conseguenze? L’Istat rileva per esempio che, a causa delle lunghe liste d’attesa, le rinunce alle cure per motivi economici hanno riguardato il 4,2% della popolazione. Purtroppo non arrivano buone notizie neanche dal versante del Pnrr, che pure nasce proprio come risposta straordinaria dell’Unione Europea alla crisi pandemica e che vede l’Italia come il principale beneficiario.

La nuova relazione semestrale della Corte dei conti traccia un quadro in cui il risultato “appare coerente con la fase in cui versa attualmente il Piano”. Ma la media complessiva è il frutto di livelli realizzativi molto diversificati. Il tasso di avanzamento della prima missione (digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) sfiora il 48%, la sesta – vale a dire la salute – è all’ultimo posto e non arriva al 20%. Questo significa che nel rush finale per completare l’attuazione del Piano il settore della sanità è tra quelli che “dovranno assicurare livelli di spesa più consistenti di quelli finora sperimentati di oltre sette volte”.

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