La crisi della stampa africana spinge i barconi dei disperati

Il governo decreta lo stato di emergenza per l’arrivo massiccio di migranti dal Nordafrica e le prefetture, in tutta Italia, si preparano nuovamente a trovare posto a migliaia di profughi, “barcamenandosi” tra l’esigenza di dare doverosa accoglienza e il rischio di ritrovarsi di fronte - ancora una volta - al “no” di molte comunità locali. Sappiamo che ad alimentare gli arrivi delle ultime settimane sono le condizioni relativamente tranquille del mare e la situazione di instabilità politica in Libia e in Tunisia. Poco invece si dice sulle condizioni in cui versano i Paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti, quelli subsahariani. Al di là delle difficoltà economiche, vi è un problema reale legato alla presenza dell’integralismo islamico che si annida nella società, riduce le libertà e mette a rischio addirittura l’informazione, uno dei beni più preziosi per qualsiasi democrazia.

Fare i giornalisti a sud del deserto del Sahara, infatti, sta diventando sempre più difficile. L’ultimo rapporto dell’organizzazione non governativa “Reporters sans frontières” denuncia che la fascia saheliana rischia di diventare «la più grande zona di non informazione dell’Africa». La Ong ha monitorato quel che sta avvenendo in Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad e Benin, rilevando che in questi paesi la stampa locale e internazionale è sottoposta a un costante degrado delle condizioni di lavoro, tanto che si è arrivati all’espulsione dal Burkina Faso delle giornaliste francesi Sophie Douce di «Le Monde» e Agnès Faivre di «Libération».

Il pericolo principale, o quantomeno uno dei più rilevanti, è l’integralismo islamico, che infesta varie aree del sud del Sahara da almeno dieci anni. Chi fa informazione si trova a dover fare i conti con la difficoltà di muoversi nei territori controllati dai gruppi armati jihadisti e con le restrizioni imposte dalle autorità locali, in uno scenario di guerra civile.

«Tra il 2013 e il 2023 sono stati uccisi 5 giornalisti e altri 6 sono stati sequestrati senza lasciare traccia - scrive il mensile dei comboniani «Nigrizia» - . Sempre nel periodo, sono finiti in carcere 120 giornalisti (72 nel solo Ciad), a segnalare che i regimi saheliani hanno tra le loro priorità quella di tenere sotto controllo i media. Un altro aspetto del degrado dell’informazione è la progressiva scomparsa delle radio comunitarie che sono molto ascoltate: i jihadisti cercano di farle aderire alla loro causa e quando incontrano resistenze le eliminano».

Quanto sta accadendo all’informazione africana può forse sembrare secondario rispetto alla violenza esercitata sulla popolazione da parte dei gruppi organizzati, alla carestia e all’assenza di prospettive che spingono milioni di presone a premere sui confini nord dell’Africa. Invece è parte del problema, perché una società senza libera informazione è più facilmente controllabile dai dittatori e dai signori della guerra, una società senza libera informazione non è democratica e dunque sarà economicamente meno sviluppata. L’ignoranza e la violenza generano povertà. E la povertà spinge a fuggire dal luogo in cui si è nati: a qualsiasi costo.

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