Editoriali / Lodi
Lunedì 07 Novembre 2022
La narrazione del Covid e le decisioni affrettate
È dall’attenzione per i più deboli, dal valore attribuito ai vincoli di solidarietà che si misura il grado di civiltà di un Paese
La tentazione dei vincitori di riscrivere la storia a partire dal loro punto di vista è sempre dietro l’angolo. È un fenomeno in una certa misura comprensibile, ma assai meno giustificabile soprattutto quando tocca vicende di enorme rilevanza per una collettività, com’è stata senza alcun dubbio la pandemia. Le decisioni assunte dal nuovo governo in questo ambito, tra le prime in assoluto del nuovo corso, ancorché legittime non possono non suscitare una certa preoccupazione. E non solo perché, come ha saggiamente ricordato il Capo dello Stato, “non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid” e “dobbiamo ancora far uso di responsabilità e di precauzione”, ma anche perché esse alludono a una narrazione del tutto distorta di due anni e mezzo di storia nazionale.
Come se la memorabile prova di sacrificio e di solidarietà offerta dalla stragrande maggioranza degli italiani – quella che insieme alla scienza e all’abnegazione degli operatori sanitari ha consentito di evitare molte migliaia di morti in più e di superare la fase più drammatica e pericolosa della pandemia che è ormai è alle nostre spalle – non fosse un’esperienza di cui andare orgogliosi, ma una parentesi da cancellare. Al punto che coloro che per motivi più o meno validi si sono sottratti a questa mobilitazione, adesso debbano essere considerati quasi delle vittime da risarcire.
Il nuovo governo ha il diritto di essere giudicato per i suoi atti e bisogna dargli il tempo di mostrare in modo significativo quel che effettivamente vale. Per onestà intellettuale non si possono emettere sentenze definitive così a ridosso del suo insediamento. Resta il fatto che i primi segnali – dal Covid al tetto dei contanti e al condono fiscale – indicano risolutamente una direzione di marcia che fa riflettere. Così come l’enfasi sul merito a scuola, che sembra inteso in senso selettivo e non come impegno inclusivo nei confronti di chi parte svantaggiato (tale si configura nella Costituzione).
Sembra emergere una prospettiva culturale segnata da una visione individualista e darwiniana della libertà che è ben riassunta dal motto “non disturbare chi vuole fare”, enunciato nel discorso programmatico alle Camere. Fare sì, ma che cosa? Nella nostra Carta fondamentale, lo stesso articolo 2 in cui si affermano i diritti inviolabili dell’uomo (tra cui la libertà occupa un posto eminente) contiene anche il richiamo ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Libertà e solidarietà sono strettamente legate, l’una illumina l’altra. Non a caso, a proposito del Covid, Mattarella ha tenuto a sottolineare che “la sanità pubblica ha il compito di mantenere alta la sicurezza soprattutto dei più fragili, dei più anziani, di coloro che soffrono per patologie pregresse”. È dall’attenzione per i più deboli, dal valore attribuito ai vincoli di solidarietà che si misura il grado di civiltà di un Paese.
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