L’Olocausto è alla base della memoria comune europea

«La società civile deve ora colmare il vuoto lasciato dai testimoni diretti»

Nei giorni antecedenti il Giorno della Memoria 2023 la senatrice Liliana Segre, una delle ultime testimoni dello sterminio di massa compiuto dai totalitarismi fascista e nazionalsocialista nei confronti di disabili, oppositori politici, omossessuali, sinti e rom, testimoni di Geova, asociali, cittadini di origine ebraica, ha esordito con alcune dichiarazioni che dovrebbero suscitare perlomeno un dibattito pubblico sulle modalità di trasmissione della Memoria a ventitré anni dall’emanazione della Legge istitutiva.La senatrice a vita, ormai giunta all’età di 92 anni, si dichiara infatti «pessimista» sul futuro della Memoria condivisa in Italia e afferma che sa «perfettamente cosa dice la gente del Giorno della Memoria. La gente già da anni dice basta con questi ebrei, che cosa noiosa, orma ilo sappiamo».È di questi giorni inoltre la scelta di un comune del Lodigiano di commemorare con un unico evento sia il Giorno della Memoria sia il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale, motivando che «parte della popolazione del paese non manifesta interesse per quanto riguarda la vita di paese» e che quindi celebrando due eventi distinti a breve distanza l’uno dall’altro «sarebbe stato difficile coinvolgere attivamente un numero significativo di persone».

Nel mese di dicembre 2022 in Germania si è concluso il processo nei confronti di Irmgard Furchner, fra il 1943 e il 1945 segretaria del campo di concentramento di Stutthof, nell’attuale Polonia, condannata a due anni di carcere sospesi al termine di quello che potrebbe essere l’ultimo processo relativo al periodo nazista in Germania.

A giudicarla era un tribunale speciale per giovani, visto che all’epoca non aveva ancora 20 anni.

La donna era accusata di complicità nell’omicidio di 10.500 persone. Il dibattimento era cominciato nel settembre 2021 a Itzehoe, preceduto da un episodio che aveva dato all’anziana imputata una notorietà internazionale.

Tre diversi eventi che aprono ulteriormente la discussione sull’utilità e sulle modalità di costruzione e di trasmissione della Memoria che, a causa dell’inesorabile scorrere del tempo e della perdita dei testimoni e degli esecutori materiali dei crimini, chiede necessariamente, da una parte, un salto dalla pura dimensione testimoniale e, dall’altra, di evitare il rischio di una banalizzazione che porta sempre in sé il rischio di un latente negazionismo.

«Una volta che le voci testimoniali di un evento scompariranno - scriveva alcuni anni orsono lo storico David Bidussa - che cos’avremo in mano? Come elaboreremo quel vuoto? E allo stesso tempo come rifletteremo? La questione riguarda la capacità che quelle voci hanno di parlare e suscitare domande; non solo di riprodurre sé stesse. In quel terreno vuoto si porrà la dimensione della postmemoria, di una riflessione che vivrà unicamente e strutturalmente della capacità di elaborare documenti. […]

Perché un evento acquisti il carattere pubblico per una comunità occorre che si costruisca la consapevolezza di un vuoto, ovvero qualcosa che segni collettivamente uno scarto tra “prima” e “dopo”. La memoria pubblica non è altro che la consapevolezza di quel vuoto.» (D. BIDUSSA, Dopo l’ultimo testimone, Giulio Einaudi editore s.p.a Torino 2009, p. 5; p. 10).

È necessario quindi che l’intera società civile si assuma le responsabilità ed il carico di colmare il vuoto lasciato dai testimoni comprendendo quanto sia indispensabile la profondità storica, evitando le confusioni degli eventi e comprendendo quanto sia fondamentale costruire un sapere fruibile che formi l’identità di un gruppo umano.

«Il terreno principale su cui coloro che sono intenzionati a mantenere e costruire la Memoria della Shoah (ma io direi non solo ed esclusivamente quella) devono muoversi è , credo, quello della storia, un terreno in cui la costruzione memoriale in questi anni si è mossa con qualche difficoltà e carenza. È un terreno più difficile per quanti, nelle scuole o altrove, hanno finora creduto che bastasse chiamare un sopravvissuto per esercitare quella funzione catartica che si crede necessaria, ad esempio, a celebrare il Giorno della Memoria. La catarsi è importante, ma quando non ci saranno più le persone in carne ed ossa a consentirci di esercitarla, sarà forse necessario, soprattutto a chi vuol svolgere una funzione di insegnamento, tornare alla storia, usare le testimonianze non per suscitare emozioni (o non solo, se preferite) ma per conoscere. Non ci può essere memoria di qualcosa che non si conosce per sommi capi.

La Memoria della Shoah non è, in conclusione, in pericolo per la scomparsa die testimoni. Se lo è, e credo che non sia un’ipotesi peregrina, lo è semmai per la crisi della funzione ce ha esercitato finora di essere , nella costruzione dell’Europa unita, un monito contro il razzismo, l’antisemitismo, la violenza. Di essere insomma un imperativo etico e politico che si concretizza nel richiamo all’evento più estremo del nostro passato recente». (A.FOA, Cosa resta della Shoah senza i sopravvissuti, Vita e pensiero 6/2022, pp.119-120).

Va in questa direzione ciò che scriveva alcuni anni orsono Imre Kertèsz nel bellissimo libro Il secolo infelice : «L’ Europa non è soltanto mercato comune e unione di dazi, ma anche spirito e spiritualità comuni. Chiunque voglia far parte di questo spirito deve quindi superare, tra tante prove, anche quella del confronto morale ed esistenziale con l’ Olocausto».

* consigliere Aned (Associazione Nazionale Ex Deportati) sezione di Milano, figlio di Gianfranco, deportato a Flossenburg con la matricola 43699.

© RIPRODUZIONE RISERVATA