Al di là del giudizio personale che ognuno di noi può avere su una personalità complessa come quella di Silvio Berlusconi, è innegabile che il Cavaliere abbia rappresentato una novità dirompente per la politica italiana e al tempo stesso ne abbia introdotto alcuni elementi di forte innovazione, non necessariamente positivi ma certamente meritevoli di attenzione.L’ascesa politica di Berlusconi coincide con una fase del tutto inedita per la politica italiana, il cui modello immutato dal Dopoguerra era stato spazzato da Tangentopoli. La crisi dei partiti di massa, Democrazia cristiana e Partito comunista, e la demolizione del Psi di Craxi, nei primi anni Novanta ha spianato la strada al Cavaliere che, uomo dalle tante intuizioni in politica, nello sport e negli affari, ha colto un varco e si è inserito, attestandosi come il rappresentante di una vasta area moderata, storicamente maggioritaria nel Paese. La prima intuizione del Cavaliere è dunque quella di capire prima di altri che si stava creando un vuoto di rappresentanza. Il primo governo Berlusconi vanta poi altri due primati che, al netto dal giudizio che possiamo attribuire, sono state indiscutibilmente delle novità di grande peso. Il Cavaliere ha sdoganato, portandoli al governo, gli eredi del Movimento sociale italiano, dando vita a un’alleanza elettorale nel centro-sud, comprendendo che proprio in quelle aree era più forte il legame con la fiamma tricolore e il passato ex fascista. Nel Settentrione Berlusconi ha invece permesso a un movimento fino a quel momento ritenuto eretico, la Lega Nord di Umberto Bossi, di andare al governo del Paese per mezzo dell’alleanza con la sua Forza Italia. Il Berlusconi-1 è stato davvero un governo “nuovo”, perché i partiti che ruotavano attorno a Forza Italia non solo non si erano mai parlati ma perché rappresentavano due modelli di Italia completamente differenti, del tutto alternativi: centralismo e statalismo contro fiero federalismo (a tratti indipendentismo duro e puro, poi frustrato da Matteo Salvini).
L’innovatore Berlusconi ha contribuito poi a portare un nuovo linguaggio in politica e a modificare lo stesso quadro politico e il modo di interpretare la lotta per il potere. Anche in questo caso, al netto dei giudizi di ognuno sulla bontà di questa evoluzione, è interessante mettere a fuoco i cambiamenti. Il Cavaliere ha introdotto in politica il linguaggio delle proprie televisioni commerciali, quelle che sapevano intercettare l’umore profondo del Paese. Fino al 1994 nessun politico era “sceso in campo” (fino a quel momento questa formula era riservata ai calciatori), fino al 2001 nessun candidato alla presidenza del consiglio aveva proposto e sottoscritto in diretta Tv un “contratto con gli italiani”.
E ancora, Berlusconi ha scritto una nuova pagina del rapporto fra la politica, i cittadini elettori e i partiti. Ha proposto il modello di partito azienda che privilegia il contatto diretto fra il leader e gli elettori e mortifica i corpi intermedi del partito, talvolta ritenuti al pari di dipendenti delle sue aziende. È un fenomeno che fino all’avvento del Cavaliere la politica italiana non aveva conosciuto. E questo nuovo modello di politica Berlusconi lo ha introdotto senza necessariamente condannare ciò che esisteva prima di lui, ma offrendo agli italiani una proposta nuova, innovativa, potente dal punto di vista della comunicazione, indubbiamente affascinante, trasportando in un contesto politico paludato e stagnante il linguaggio e il carisma di chi ce l’ha fatta nel mondo degli affari e nello sport.
Non solo un nuovo linguaggio e un nuovo modo di intendere la rappresentanza dei cittadini attraverso i partiti. Berlusconi, issandosi come unico e incontrastato leader del centrodestra, ha condotto la politica italiana verso una polarizzazione estrema, ponendo gli italiani dinnanzi al dilemma “o con me o contro di me”. In questo senso il centrosinistra si è dovuto adattare a rincorrere un’innovazione che decisamente non era nelle corde di molti dei suoi leader “temporanei”. Solo una volta, probabilmente, il Cavaliere è stato colto in contropiede, ed è stato nel 2007, quando la nascita del Partito democratico a vocazione maggioritaria ha semplificato il quadro elettorale nel centrosinistra, portando Berlusconi ad annunciare dal predellino della sua automobile la nascita di un nuovo partito, il Popolo della libertà, che nelle pubbliche intenzioni avrebbe fatto sintesi tra Forza Italia e Alleanza nazionale ma che in realtà ha fagocitato un Gianfranco Fini incapace di cogliere il rischio dell’abbraccio mortale con Berlusconi, fino alla rottura eclatante dell’aprile 2010 e alla celebre frase “Che fai mi cacci?”.
Fedele fino all’ultimo al suo personaggio, Berlusconi non è riuscito o probabilmente non ha voluto trovare un vero successore nella sua Forza Italia, puntando su personalità grigie, come Angelino Alfano, il cui carisma era abbondantemente al di sotto di quello del padre fondatore del partito. E forse, questa difficoltà a designare un erede politico, decreterà la fine del partito nato con la discesa in campo di 29 anni fa. O più probabilmente, la Forza Italia del 1994 già oggi non esiste più perché da tempo era venuto meno il carisma magnetico del Cavaliere sugli italiani. Segno che anche la sua parabola è declinata sotto il peso degli anni e di un Paese in profondo cambiamento.
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