Per contrastare la denatalità dobbiamo
copiare Bolzano

Il commento di Osvaldo Folli

Dicono, quelli bene informati, che in Italia si fanno pochi bimbi. Esperti demografi che da anni studiano il fenomeno sono giunti a tale unanime conclusione. E poi, quando perfino la presidente del consiglio dei ministri dice che con quest’andazzo si mette in pericolo il Pil nazionale, c’è da crederci e preoccuparsi veramente. Siamo tutti d’accordo che mettere al mondo un figlio/a non è come programmare una vacanza in Sardegna o adottare un cane. È certamente qualcosa di più complesso e impegnativo che cambia la prospettiva esistenziale della coppia, sia dal punto di vista emozionale sia da quello finanziario. Poi entrano in gioco anche stati d’animo legati all’incertezza del futuro (paura) a incidere sul desiderio di procreare.

Che fare, allora? Le ricette per invertire la tendenza, come ci informano sempre i vari esperti, sono molte e variegate. Ovviamente, subito una sferzata di energia, nel senso di dare un po’ di respiro economico alle giovani coppie mettendole in grado di produrre figli con meno preoccupazioni finanziarie, senza dover rinunciare a nulla. Raddoppiando il numero degli asili nido gratis o a tariffe calmierate per tutti (anche per il maltrattato ceto medio) e, soprattutto, mettendoli in grado di funzionare in orari e periodi che possano soddisfare realmente le esigenze delle coppie che lavorano. Largheggiando con i permessi (anche per i papà) e il periodo di maternità, facilitando (per questo non sarà necessario il consenso delle aziende) il lavoro da remoto, incrementando reali agevolazioni fiscali e congedi parentali.

Tutti d’accordo, ovviamente, ma quando dalle enunciazioni teoriche si deve passare alla pratica, le cose si complicano un poco. Non è soltanto una questione di scarsi finanziamenti. I soldi non mancano - come ci informa «Il Cittadino» del 23 maggio scorso - visto i fondi inattesi del Pnnr destinati anche al Lodigiano per costruire altri 11 asili nido e incrementare così l’offerta di ben 280 posti. È piuttosto una questione che coinvolge l’organizzazione complessiva della società attuale che incide pesantemente e negativamente sulla decisione di una coppia di mettere al mondo un bambino/a. Certo il problema della denatalità è complesso e difficile da affrontare. Ma proprio per questo andava affrontato con lungimiranza tanto tempo fa. Sperare che sia l’attuale classe politica nel suo complesso in grado di affrontarlo ci sembra onestamente chiedere troppo. Più realistico, allora, sarebbe affidarsi alla tanto vituperata Europa che, come fatto con il Green Deal, possa “imporre” tutta una serie di normative per salvarci (tutti assieme) dall’inverno demografico. Ma anche qui tira una brutta aria con indicatori di natalità e fecondità peggiorati in tutti i paesi Europei (tranne in Germania, grazie al notevole flusso d’immigrati accolti negli ultimi anni e in Svezia, dove si è invertita la curva demografica).

Perfino i francesi, con un numero medio di figli inferiori a 1,8 per donna (peraltro fra i più alti dei paesi dell’Unione) sono sotto la soglia di sostituzione, nonostante le ingenti risorse investite per invertire il trend negativo.

A questo punto, nel nostro piccolo, non serve mettersi a piangere e neanche trovare consolazione nel fatto che, come riportato nell’Atlante Demografico del Lodigiano e Sudmilano de «il Cittadino», «altrove va peggio e la nostra provincia è anche in vantaggio sullo standard lombardo».

Meglio sarebbe ispirarsi a quanto già applicato con successo nella provincia di Bolzano, ove una fitta rete di sostegno alle famiglie garantita anche dal governo locale ha dimostrato che la denatalità si può battere. Soluzione forse troppo semplicistica e per questo destinata a soccombere nell’indifferenza generale.

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