Il termine in italiano non esiste, è un neologismo coniato da Danièle Hervieu-Léger, acuta studiosa delle religioni di origine francese. In italiano la potremmo tradurre come “esculturazione”, exculturation nella lingua della sua autrice. Lo si comprende meglio se si analizza il suo contrario, il termine inculturazione, che la Treccani definisce come “assimilazione, da parte dell’individuo, della cultura del gruppo sociale cui egli appartiene, durante il processo di socializzazione, che implica adattamento e dialogo”. Esculturazione è il termine che la Leger individua per descrivere il destino del cristianesimo soprattutto nell’occidente europeo all’inizio del terzo millennio.Esso allude al fatto che, nella cultura occidentale di massa, connotata da fluidità, multietnicità e post-modernità, il Cristianesimo ha perduto la capacità di incidere sulla dimensione culturale, ossia su quell’humus grazie al quale siamo in grado di costruirci come soggetti liberi, di definire valori, beni, pensieri, idealità e un orizzonte complessivo di senso per il vivere. Il Cristianesimo viene “esculturato” in quanto viene a formarsi una cultura che fa a meno dei suoi valori, dei suoi riferimenti simbolici, di quella narrazione che ha segnato, nel bene e nel male, il mondo occidentale fin dal suo sorgere.
È qualcosa di assai diverso e radicalmente differente dall’ateismo: a ben vedere, l’ateismo (marxista, scientista, positivista, nichilista, etc.) si muoveva in un contesto nel quale il riferimento ai valori religiosi era assai presente, benché in forma negativa e dialettica. Si combatte e si nega quanto è, in qualche modo, presente e vitale in un ambiente culturale.
L’esculturazione segue invece un percorso ed un movimento differente: essa cancella il dato religioso, come qualcosa di antiquato, di irrilevante, di insensato e marginale. In poche parole l’uomo di oggi – moltissimi nostri contemporanei già lo sperimentano – può pensare la propria vita prescindendo da ogni elemento culturale ereditato dal cristianesimo. Termini come anima, sacrificio, creazione, peccato, salvezza, destinazione, famiglia, natura (ma l’elenco potrebbe essere assai più lungo) divengono non solo parole incomprensibili ma pure culturalmente insignificanti per dire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.
Eppure l’esperienza cristiana, fin dai suoi albori, ha sempre sperimentato una forte dinamica di inculturazione: basti leggere i testi di Paolo o dei primi Padri della Chiesa per riconoscere come la buona notizia del Vangelo non è mai rimasta estranea ad una cultura ma si è sempre posta come elemento interno di crescita e vitalità. Il messaggio del Vangelo è sempre stato “detto” secondo le categorie di una cultura, dentro una elaborazione filosofica e teologica, in modo tale che l’uomo, di ogni epoca e latitudine, potesse ascoltare una parola comprensibile, sensata, ragionevole, espressa nella propria grammatica.
Attraversiamo ora un tempo in cui questa frattura tra cristianesimo e cultura si è definitivamente compiuto, interrompendo quel processo che ha consentito alla Chiesa «di rivolgersi a tutti, al di là della laicizzazione delle istituzioni e della secolarizzazione delle mentalità», come afferma Danièle Hervieu-Léger. Aggiunge la studiosa: «A partire dagli anni Settanta, la Chiesa ha perso il sostegno di questa trama culturale comune che le consentiva di mantenere una posizione dominante sulla scena religiosa e sociale, nonostante la diminuzione del numero di fedeli. Cinquant’anni dopo, questa “esculturazione” è completa e definitiva. La Chiesa non può parlare che ai propri fedeli, e non è neppure certo che questi la ascoltino, soprattutto sulle questioni di morale sessuale, che considerano appartenenti all’ambito della sola coscienza personale».
Le comunità cristiane sono chiamate oggi ad elaborare una “cultura altra” (alter-culture, secondo l’autrice), che non sia solo un andare contro corrente ma si traduca nella capacità di abitare il mondo, senza l’idea di conquista o di vana gloria. Solo così la Chiesa potrà assumere volontariamente, e non in modo passivo, il processo di esculturazione, come fedeltà alla missione profetica che le è affidata da Gesù. Hervieu-Léger invita la Chiesa a riscoprire la sua dimensione escatologica, ossia esodale, di piccolo resto, di comunità in cammino, di realtà piccola formata da gruppi e fraternità.
Non è difficile ritrovare in questa idea un’allusione alla dimensione di piccolo resto della Chiesa, come Karl Rahner ricordava a metà del secolo scorso. Stiamo ormai entrando nel tempo della diaspora, ove piccole comunità in cammino sperimentano una minorità numerica e culturale dentro un mondo che vive una radicale estraneità alla dimensione religiosa. Piccole comunità che, con gesti di accoglienza ed inclusione, sappiano nuovamente testimoniare la Buona Notizia e rendere ragione della loro speranza.
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