Ridiamo valore alla parola per raccontare l’umano

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» scriveva nel lontano 1975 Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. Questa frase è diventata un po’ una stella polare non solo nell’ambito ecclesiale ma, più in generale, nel dibattito culturale. Di fronte a tanti maestri che “predicano bene e razzolano male” - come si sarebbe detto una volta - la constatazione del Papa enfatizzava l’importanza di una forte coerenza tra parola e azione, tra quanto detto e quanto fatto, tra ciò che viene insegnato, da qualunque pulpito, e quanto vissuto concretamente nella vita personale. Tuttavia, forse una lettura un po’ superficiale o parziale delle parole di Paolo VI ha alimentato una prospettiva di naturale, e quasi necessaria, preminenza dell’agire sul parlare, una superiorità assiologica dell’azione sulla parola. Ogni azione mostra un tratto di concretezza, affidabilità, coerenza e visibilità che, in una certa misura, è preclusa al discorso. Ogni pensiero, riflessione e argomento si muove – a una vista superficiale – su quel terreno impervio dell’astrattezza, dell’inutilità, dell’irrilevanza se non addirittura della contraddizione. Alcuni filosofi sono giunti a denunciare una sorta di “arroganza del pratico”, ossia quella forma di preminenza del concreto che disdegna ogni forma di racconto, di espressione verbale o di manifestazione del pensiero, in quanto essi sarebbero colpevoli di portare l’uomo negli spazi eterei della vanità e della futilità.

Accade però, riprendendo quanto scrive Petrosino su Avvenire del 23 marzo, che “in questo modo gli stessi fatti, senza il soccorso e la forma delle parole, senza il sostegno di un testo che li sorregge e tiene insieme, senza una cultura che li difende e li diffonde, si dissolvono in un’anonima frenesia”. Un fatto senza parola rischia di divenire irrilevante e ogni testimone, privato della forma parlata, si espone al pericolo dell’afasia. L’agire umano avviene sempre con “eventi e parole intimamente connessi” come ci ricorda il numero 2 della Dei Verbum riferendosi alla Rivelazione, in modo tale che, mimando quanto afferma la costituzione conciliare, le opere manifestano e rafforzano le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. Insomma, parole ed azioni formano un nesso inscindibile che, solo, è capace di esprimere e manifestare la pienezza dell’umano.

Diviene allora oggi sempre più urgente saper riprendere la parola nel nostro contesto socio culturale per dare sostanza e spessore ai valori, alle istanze etiche e alle esperienze umane. Credo che oggi essere uomini e donne non sia più una esperienza immediata e trasparente, evidente e scontata: la cultura post-moderna e lo sviluppo vertiginoso della tecnica rendono la “questione uomo” un interrogativo spesso senza una risposta convincente e talvolta neanche approssimativa. Occorre oggi, insieme alle tante azioni che nei più svariati ambiti mettiamo in campo, assumere la fatica di raccontare l’umano, non attingendo solo alle parole, per quanto preziose, del passato, ma con narrazioni che possano intercettare ed interpellare l’uomo di oggi; serve oggi l’audacia della parola, il coraggio del pensiero, lo sforzo di entrare nell’agone culturale per pronunciare nuove storie, nuovi racconti e nuove visioni.

È la sfida che accomuna i “vecchi” ed i “nuovi” soggetti sociali: i partiti, le comunità ecclesiali, le istituzioni educative e formative, le associazioni di volontariato e del terzo settore, i sindacati, la chiesa e gli enti culturali. Serve uscire dall’afasia di un fare ansioso ed agitato, frenetico e spesso composto; occorre non cedere alla tentazione dell’attivismo, del mito dell’efficienza e della performatività, della produttività e del pratico. Va riscoperta la profondità e la fecondità di un dire capace di illuminare, accendere, interpretare, schiarire e rivitalizzare, di aprire nuovi orizzonti e nuovi futuri.

Cosa significhi oggi essere padri e madri, cittadini e figli, che cosa sia la libertà, la responsabilità, il bene, la cura e la dedizione, il coraggio e la speranza, la generazione e la fraternità, sono qualcosa che non possiamo dire senza la fatica e la profondità del pensiero e della parola. Sono interrogativi a cui non è possibile rispondere solo attraverso un impegno generoso in tante opere ed attività. Serve la capacità di dire, di raccontare, in modo umile, mite, non solitario, non arrogante o saccente; occorre parlare animati dal dubbio e dalla pazienza, dalla tenacia e dalla convinzione che dare senso a questa storia e al mistero della nostra identità è la sfida principale che ciascuno di noi ha davanti a sé.

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