Eleonora, da Casale al cuore dell’Europa

La 34enne ex consigliera comunale M5S da settembre era a Bruxelles per uno stage

«In Belgio gente fantastica, e nonostante l’emergenza non c’è stata apprensione. La mia paura è stata tutta per l’Italia e la mia famiglia, mio padre e mia sorella, entrambi medici». Eleonora Paloschi, 34 anni, ex consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Casale, impegnata anche in numerose iniziative e tavoli sovracomunali, una laurea in giurisprudenza in tasca e la voglia di una carriera nelle istituzioni o nella diplomazia, da settembre aveva iniziato uno stage nello staff di un parlamentare europeo a Bruxelles, dopo un’analoga esperienza a Roma. A Natale il rientro nella sua Casale, poi da febbraio l’epidemia di Covid ha stravolto i suoi piani, e la vita di tanti.

Come hai vissuto l’epidemia a Bruxelles?

Anche qui ha picchiato molto duro, con tanti ricoverati, e molte morti. Però c’è stata una risposta sanitaria abbastanza adeguata, mi pare sia stata gestita meglio rispetto alla Lombardia, per quanto ho potuto seguire. A parte la fase di quarantena obbligata per tutti: c’era pochissima gente in giro, per lo più con la mascherina, ma c’erano pochissimi controlli. E poi le misure erano meno restrittive: qui si è continuato ad andare nei parchi sempre, per esempio. Ci sono stati momenti con l’epidemia in pieno corso, e i giardini pubblici pieni di gente. Ora c’è l’esercito a presidiare la metropolitana, ma prima si è lasciato molto alla responsabilità dei singoli. Io sono stata per lo più confinata in casa da sola, uscivo solo per fare un po’ di spesa».

L’epidemia è partita dopo rispetto all’Italia.

«Sì, all’inizio io ricevevo notizie dall’Italia, dalla Lombardia e da Casale. Così ho cominciato a uscire pochissimo anche prima che qui scattasse il lockdown, mi sono attrezzata subito con la mascherina e con una scorta di medicinali in casa. Ma quando entravo nei negozi per la spesa mi prendevano in giro, soprattutto all’inizio, anche se sempre in modo bonario. Additavano la mascherina e quando spiegavo di essere italiana mi dicevano che capivano, perché in Italia la situazione era ben più drammatica. Ma lo facevano con il sorriso, non avevano capito cosa stava per arrivare.

Ma hai subito qualche discriminazione per la nazionalità?

«Assolutamente no. I belgi sono un popolo fantastico da questo punto di vista, e Bruxelles è una città aperta. Non c’è mai stata nemmeno l’ombra di una discriminazione o di una domanda di troppo sulla mia provenienza, nessuna battuta fuori luogo, nessuna occhiata di traverso».

Sei mai stata angosciata?

«Sì, e molto. Sentivo le notizie in arrivo dalla zona rossa, e poi da tutta Italia, e comunque mi trovavo in un Paese straniero, con la sanità a pagamento quindi, e complessivamente con poche notizie sull’andamento dell’epidemia. Questo per me, ma la vera paura che provavo era per i miei cari a Casale. Ero angosciata soprattutto per mio papà, medico di base con ambulatorio a Casale e Zorlesco, e anche per mia sorella, che è medico di guardia in un ospedale lombardo. Ero molto preoccupata, nonostante ci sentissimo tutti i giorni. Sono stati proprio in prima linea e, nonostante il telefono, la lontananza non aiuta in questi casi, soprattutto con le tante notizie di medici ammalati, e morti anche».

Ora sei in Italia. Hai avuto problemi con il rientro però…

«È stata un’odissea. Avevo un volo previsto a Pasqua che era stato cancellato, così a maggio mi sono rimessa in moto per poter rientrare a giugno, sperando che si riaprissero gli aeroporti. Ho trovato per la seconda settimana. Ma 24 ore prima della partenza mi è arrivata la comunicazione che il volo era stato cancellato. La motivazione era «per emergenza Covid», ma sapevo che non poteva essere così. Allora mi sono recata in aeroporto per capire di persona il da farsi. E solo lì ho scoperto che in pratica è fallita la società che si occupava di tutto il trasporto bagagli nell’aeroporto di Bruxelles, e a causa di questo hanno dovuto cancellare tutti i voli. Diciamo che la risposta delle autorità belghe non è stata proprio brillante né veloce. Alitalia poi, con cui dovevo viaggiare, non ci ha dato grande assistenza: poche informazioni e nemmeno chiarissime. Siamo stati in tanti in questa condizione, anche alcuni europarlamentari».

Alla fine, sei arrivata con qualche peripezia.

«Sì. Ho scoperto casualmente, perché nessuno mi aveva avvisata ai banconi, che c’erano a disposizione delle navette bus per Amsterdam, da dove sarebbe stato possibile imbarcarmi con Alitalia per Roma, e da lì per Milano. Così mi sono organizzata e ho fatto in questo modo, arrivando a Roma martedì sera e passando la notte nella capitale, per poi finalmente arrivare a Milano e quindi a Casale. Di tre valigie, il contenuto di 9 mesi di Belgio, una è andata persa, e questo dopo tre mesi di lockdown ha messo a dura prova i miei nervi. Ma al di là di questo inconveniente, delle peripezie affrontate e della totale mancanza di comunicazione, ora sono arrivata e posso riabbracciare la mia famiglia. Che era quello che contava».

Cosa farai ora?

«L’estate la passerò in Italia, insieme alla mia famiglia, un po’ a Casale e un po’ al mare, spero. Poi a settembre cercherò di tornare a Bruxelles. I piani originari prevedevano che in questo periodo finale della mia esperienza avrei dovuto cercare di concretizzare la possibilità di entrare nello staff di qualche europarlamentare. Ma da marzo ogni parvenza di normalità è saltata, e con essa anche i miei piani. Ora però voglio solo godermi la mia famiglia e Casale».

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