Il Darwin lodigiano che “cattura” la natura lungo il fiume Adda con il suo obiettivo
Il naturalista Andrea Anelli ha realizzato un documentario e ora vuole pubblicare un libro di foto
Quando si pensa a un naturalista, subito vengono in mente Charles Darwin e i suoi viaggi intorno al mondo alla ricerca di animali esotici. Il naturalista lodigiano Andrea Anelli ha fatto anche questo, come dimostra il documentario “Il Palco di Gaia”, di cui è coautore insieme al gruppo Recover; ma non ha tralasciato di studiare a fondo anche il territorio lombardo, e quel basso corso del fiume Adda sul quale, da un paio d’anni, sta lavorando insieme al collega di studi Luca Ghezzi di Cassano d’Adda e al pescatore e profondo conoscitore del fiume Davide Valla, di Vignate.
«Siamo alle prese con questo progetto da due anni – racconta Andrea Anelli -: abbiamo approfondito il corso del fiume Adda e le sue sponde nel tratto che scorre a valle del lago fino all’immissione nel Po, di fatto la parte che attraversa anche il Lodigiano. L’obiettivo è quello di costruire un libro fotografico che documenti fauna e flora di questo ecosistema che spesso è sottovalutato e trascurato».
Anelli si pone in continuità con una serie di lavori già compiuti in passato dal Parco Adda Sud: «Non ho ancora conosciuto il nuovo direttore, ma in passato sono state realizzate delle pubblicazioni molto belle, anche se un lavoro di questo tipo secondo me ancora non esiste».
L’idea è quella di selezionare alcune centinaia di fotografie che siano descrittive di fauna e flora del territorio, e che siano ovviamente d’impatto anche estetico, perché possano davvero stimolare le persone a impegnarsi nella tutela del territorio. «Purtroppo, il vero problema di questo ecosistema è la fruizione indiscriminata da parte dell’uomo, che rischia davvero di fare dei danni – racconta -. Questo tratto di fiume è il più urbanizzato, ma mantiene ancora importanti qualità naturalistiche, anche se sono localizzate in alcune zone, quelle di più difficile accesso, e spesso non ci sono corridoi biologici a collegarle».
Andrea Anelli e i suoi colleghi si sono fatti strada in queste aree con la massima prudenza, anche perché ospitano delle piccole rarità che trovano in esse uno “zoccolo di sopravvivenza”. Si tratta, ad esempio, della Rana di Lataste o, sul fronte floristico, di alcune specie di orchidee selvatiche: «Sono così localizzate che, praticamente, le conosciamo una ad una, conosciamo le radure dove trovano le condizioni ideali per crescere».
Individuare gli animali, e specialmente i mammiferi, è ovviamente più complesso: «Quando scoviamo delle tracce che possono corrispondere a determinati animali, attrezziamo la zona con delle fototrappole, ovviamente stando sempre lontani da tane o nidi, per non creare problemi. Si tratta di macchine fotografiche munite di uno speciale sensore che identifica il movimento e fa partire l’otturatore. Tra le mille foto buttate perché semplicemente il vento aveva mosso le foglie, qualche volta riusciamo a cogliere e identificare l’animale, allora ci mettiamo al lavoro con le reflex per catturarlo».
Catturarlo, ovviamente, non significa metterlo in gabbia, ma soltanto rubare uno scatto che vada a impreziosire ulteriormente il libro che i tre stanno mettendo insieme. «C’è ancora un bel po’ di lavoro da fare, soprattutto di selezione delle immagini, ma non solo: non me la sento di rivelare ancora il titolo, ad esempio – ride Anelli -, perché è uno degli argomenti su cui si discute di più, e la mia idea cozza con quella degli altri. Vedremo chi l’avrà vinta».
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