«Il Lodigiano è stato modellato dall’agricoltura»

«La Città metropolitana potrebbe non essere la soluzione migliore per il Lodigiano. Dipenderà dalle eventuali condizioni d’ingresso. L’alternativa potrebbe essere Cremona».

Marco Stabilini, sindaco al quarto mandato di Corte Palasio, agricoltore fra i pochi della zona, sul futuro del Lodigiano vorrebbe aspettare a pronunciarsi. Le nebbie intorno alla legge Delrio e alla riforma del Titolo V non si sono ancora dissolte. E così, dice, “siamo ancora nel vago” e “stiamo ragionando soltanto a livello di tifo”.

Non basta la prospettiva di poterci agganciare ad una locomotiva?

«Il fatto è che in questo momento non sappiamo nulla sulle competenze e le risorse che eventualmente ci verrebbero assegnate. Non abbiamo garanzie di alcun tipo, il quadro normativo non è ancora completo. Come possiamo esprimerci?»

Bella domanda. Lei come si risponde?

«Alcune settimane fa io ed un gruppo di amministratori del territorio abbiamo manifestato una nostra posizione in una lettera al Cittadino, evidenziando la necessità di promuovere una piattaforma negoziale rappresentativa delle necessità dei lodigiani e con la quale eventualmente confrontarci con altri territori. È da qui che bisognerebbe partire. Noto però che il dibattito finora si è svolto solo sulle pagine del vostro giornale».

La Provincia però intende darsi da fare. Proprio in questi giorni, contestualmente alla presentazione ai sindaci dello schema del bilancio di previsione, Soldati, fermo restando l’orientamento per Milano, aprirà il dibattito sul futuro del territorio...

«Sarà importante discutere sull’amministrazione e la gestione dei servizi. Bisognerà capire quale sarà il criterio della riorganizzazione complessiva del territorio, e se si punta alla Città metropolitana quale sarà il peso di Lodi nel nuovo ente. Sarà una partita politica, ma mi aspetto anche una regia della Regione che per ora non si è vista. La volontà del territorio potrebbe non bastare, comunque non essere determinante”.

Ma pensa anche lei che il primo confronto vada fatto con Milano?

«È evidente che con Milano ci sono rapporti economici e sociali già consolidati. Milano sappiamo cos’è, il resto non sappiamo cosa sia. La Città metropolitana ha un valore costituzionale, mentre il concetto di area vasta è al momento un po’ nebuloso. Ma non possiamo ragionare solo per simpatia o sulla base di ragioni storiche, la Città metropolitana sarà probabilmente centrata sulla metropoli, il timore che Lodi resti ai margini c’è».

Non è l’unico ad avere questo timore...

«Ricordo che quando eravamo con Milano, negli ultimi anni i rapporti non erano facilissimi. Corte Palasio forse non sapevano neppure dov’era. Era diventato difficile parlare non solo con gli assessori, ma anche con i dirigenti dei servizi. Per questo dico che sarà importante avere un’unità che ci permetta di negoziare».

La “piattaforma negoziale” su cosa dovrebbe fondarsi?

«Intanto sull’autonomia nella pianificazione urbanistica. La delega va salvaguardata perché ci permetterebbe di resistere ad eventuali pressioni della Città metropolitana. Poi sul riparto delle risorse, un altro punto decisivo. In questi vent’anni di Provincia il territorio è cambiato, si sono sviluppate nuove infrastrutture, c’è bisogno di tanti interventi di manutenzione, non sarà facile recuperare le risorse. Ma anche su questo punto ora siamo nell’assoluta vaghezza».

L’alternativa a Milano quale potrebbe essere?

«Cremona, non certo Pavia».

Perché?

«Perché con il Cremasco abbiamo sempre avuto rapporti privilegiati, favoriti dalla continuità di paesaggio. Il parco dell’Adda Sud è già un punto d’incontro fra i due territori. Non dimentichiamoci che anche restando fuori dalla Città metropolitana i rapporti con Milano resterebbero».

Cremona però sembra guardare da un’altra parte. Con Brescia, Bergamo e Mantova ha stabilito nei giorni scorsi un patto di consultazione per unire le forze della Lombardia orientale. Infrastrutture, trasporti, cultura e turismo sono i temi intorno ai quali i quattro sindaci si sono stretti. L’obiettivo dichiarato è fare massa critica per fronteggiare la Città metropolitana e portare a casa i fondi europei...

«Mi sembra un’area un po’ troppo vasta. E se noi dovessimo andare con Milano, Pavia che farà? Resterà sola? Immagino che in tutto questo ci dovrà essere una regia della Regione. Ma continuiamo a restare nel vago».

Pollice verso alla riforma?

«È stata adottata a furor di popolo perché individuata come un rimedio agli sprechi, ma in assenza di un progetto chiaro e definito è stato come buttare il cuore oltre l’ostacolo. Capisco che per attuare certe riforme bisogna forzare un po’ la mano, però mi dico anche che fino a ieri abbiamo avuto un moltiplicarsi di province, mentre ora, quasi d’un tratto, si procede spediti in senso opposto. E non sappiamo neppure che fine faranno la questura e il comando provinciale dei vigili del fuoco. Non ci sono linee di indirizzo. Si sta cercando di riorganizzare i territori pensando al risparmio ma senza preoccuparsi di non penalizzare i territori stessi».

I cittadini di Corte Palasio come si esprimerebbero in un referendum?

«Come la stragrande maggioranza dei Lodigiani, per Milano».

Puntiamo la lente sul vostro territorio. Anche lei, come Livio Bossi, sindaco di Boffalora, è soddisfatto di come sta procedendo l’Unione dei comuni lombarda Oltre Adda lodigiano?

«È stata una scelta molto impegnativa, ma lungimirante. La macchina amministrativa è sempre più complessa, dovevamo poter contare anche su dipendenti specializzati. Anche in questo senso l’unione è stata importante. Gli organici sono molto ridotti, ma il lavoro sta dando risultati positivi. Ed anche il rapporto tra sindaci è stato sin qui proficuo. Abbiamo rinunciato ad un po’ di autonomia nell’interesse delle comunità che rappresentiamo».

Nessun pourparler sulle fusioni?

«Attualmente non è un tema all’ordine del giorno, anche se conosciamo le esperienze di quelle unioni che poi sono sfociate in fusioni. Ora però siamo ancora gelosi della nostra specificità».

In questa pagina si è discusso molto sulla salvaguardia dell’agricoltura locale. Ed anche del possibile sviluppo della catena agroalimentare all’interno della Città metropolitana. Lei che dice?

«Una volta l’agricoltura era la risorsa economica preponderante del territorio di Corte Palasio. Ed anche l’artigianato aveva un ruolo importante. Ora non è più così, la nostra economia si fonda soprattutto sugli addetti al terziario che lavorano a Lodi o a Milano».

La tradizione agricola però resiste. O no?

«Il problema è che le stalle stanno chiudendo, gli allevatori hanno troppi problemi. Un tempo qui c’era una gran quantità di allevamenti bovini. Oggi però quello dell’allevatore è un mestiere che non è più remunerativo. Il prezzo del latte alla stalla è ormai sceso a 34 centesimi al litro. Lo sa quanto ce lo pagava l’industria venticinque anni fa?»

No, quanto?

«Ben 800 lire al litro, più di oggi. Ed anche i consumatori lo pagano di più di quanto non lo pagassero una volta. Il divario fra il prezzo del latte alla stalla e quello del latte in vendita nei supermercati è enorme. Invitabile che a certe condizioni molte stalle abbiano chiuso. Mettiamoci il fatto che i giovani non sono interessati a continuare il lavoro dei loro padri, ed il quadro della situazione è completo».

Ora quante stalle ci sono a Corte Palasio?

«Una dozzina. Nella frazione di Cadilana, oltre alla mia, ce n’è soltanto un’altra. Vent’anni fa ce n’erano sei. Eppure la nostra resta una campagna molto ben conservata, rispetto ad altre zone del Lodigiano abbiamo molti bei prati con molti filari di alberi».

La Città metropolitana saprebbe tutelarla?

«Come dicevo all’inizio, se andremo con Milano sarà fondamentale per tutti, non solo per noi, mantenere la delega alla programmazione urbanistica. Quando penso a questo mi piace ricordare, un po’ scherzando, un libro di Angelo Frosio intitolato “La vacca salverà il mondo».

Cosa dice?

«Dice cose interessanti. Che se spariscono gli allevamenti, il territorio cambia, diventa gestito dai contoterzisti con le loro monocolture. E se si seminano la soia o il frumento, allora spariscono i filari d’alberi, cambia il paesaggio. Ci ricorda, quel libro, una cosa molto semplice: che il territorio lodigiano è stato modellato dall’agricoltura e dagli allevamenti. Dimenticarcelo sarebbe un errore».

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