Le ombre nere di Tim Burton

Alla fine ha avuto il coraggio di bruciarlo il castello di Edward mani di forbice. In fiamme sul finale di “Dark Shadows” il nuovo film di Tim Burton che a questo punto potrebbe assumere il significato di opera di svolta per il regista. Benvenuti quindi nel museo delle cere del magnifico autore di “Ed Wood” e de “La sposa cadavere” che per questo suo omaggio all’omonima serie tv che ha ispirato il film (realizzata da Dan Curtis a cavallo tra il 1966 e il 1971) ha deciso di riportare in vita ambienti e personaggi di tanti suoi film, seminati qua e là sotto mentite spoglie ma riconoscibili a un occhio nudo. Ed è certo questo uno dei “giochi” più divertenti contenuti nel sottotesto di questo film che corre continuamente il rischio dell’effetto “deja vu” ma riflette la gioia che deve aver portato al suo autore al momento di girarlo.

Basato sulla striscia televisiva “di culto” di fine anni Sessanta, amatissima dalla coppia Burton-Deep, racconta del ritorno dall’oltretomba di Barnabas Collins, per duecento anni costretto all’oscurità da una maledizione inflittagli da una bella strega a cui aveva spezzato il cuore. Risvegliatosi sotto le insegne di McDonald’s che gli riportano alla mente simboli malefici (!) e alle prese con hippies e romanzi sentimentali, Barnabas nel cuore degli anni Settanta dovrà cercare di riportare all’antico splendore la famiglia che ritrova ormai allo sbando, decaduta come il castello in cui sono rimasti ad abitare quel pugno di discendenti ancora in vita.

Quello che ne viene fuori è un film straordinario dal punto di vista visivo, il solito colto miscuglio di cultura dark e pop che permette a Tim Burton di compiere lo stesso cammino verso “casa” del suo personaggio e di riflettere sui temi prediletti, rivisitati attraverso le luci e i colori più amati. La chiave comica si unisce a quella “nera”, rivelando un sentiero completamente diverso rispetto a quello scelto ad esempio per narrare di “Sweeney Todd” e di quello che era il sanguinario epilogo della favola di Edward. Qui i personaggi sembrano usciti dalla matita e dalla “stop motion” de “La sposa cadavere”, figurine pallide e streghe disperate questa volta in carne ed ossa, immerse in una storia romantica e tragica, come sempre accade nel cinema di Burton. Le citazioni dai suoi film sono evidenti, sembra di riconoscere ogni singolo angolo del sentiero che Barnabas attraversa quando apre il cancello sgangherato e ritorna a “casa”, provando evidentemente la stessa emozione del regista (e dello spettatore). Anche i temi sono quelli consueti: l’elogio della diversità e il gusto di mescolare cattivi e buoni, ad esempio, spesso assegnando a questi ultimi i visi e le espressioni più mostruose.

Il talento lo si riconosce anche quando non “inventa” nulla di nuovo e questo è il caso di “Dark shadows” che non lascia scontenti gli amanti del cinema di Tim Burton, pur senza avere quel guizzo straniante che spiazza e che (quando c’è) colloca un passo più avanti la poetica del suo autore. In questo caso bisogna “accontentarsi” di un’opera di scuola, in qualche istante bellissima e affascinante, ma assai di maniera. Forse però è proprio nel simbolico rogo finale del castello del suo eroe più amato che va trovata la chiave per interpretare il capitolo finale di “Dark shadows” e per muoversi tra le sue “ombre nere”.

PRIMA VISIONE Alla fine ha avuto il coraggio di bruciarlo il castello di Edward mani di forbice. In fiamme sul finale di “Dark Shadows” il nuovo film di Tim Burton che a questo punto potrebbe assumere il significato di opera di svolta per il regista. Benvenuti quindi nel museo delle cere del magnifico autore di “Ed Wood” e de “La sposa cadavere”

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