Francesco Zoppetti, deputato Pci dal ‘72 all’87 e sindaco di Lodi Vecchio per dieci anni, si dice “molto amareggiato” per il colpo di spugna del Governo alle Province. E soprattutto per l’addio a quella di Lodi, per la costituzione della quale, ricorda, la politica di casa si batté compatta e decisa.
Il finale del libro è stato cambiato. Per gli autori è una realtà difficile da accettare…
«Fummo io e Lodigiani a presentare nell’85 la prima proposta di legge per l’istituzione della Provincia di Lodi. Ma il mio impegno per l’autonomia del territorio iniziò anni addietro con il Consorzio del Lodigiano insieme a Mazzola, Omini, Pallavera ed altre figure di spicco della politica di allora. E come partito, seppure in minoranza, svolgemmo un grande lavoro, i rapporti all’interno del Consorzio rimasero sempre buoni. Furono anni di fermento e di progetti per l’autonomia, dai trasporti alla sanità, dall’agricoltura all’urbanistica. Poi, costituita la Provincia, il lavoro prima di Guerini e poi di Felissari fu molto importante».
Altri tempi, altra idea di politica. A Lodi come nel resto d’Italia…
«Eppure la politica è bella, interessante e istruttiva se fatta onestamente e con la ricerca del confronto e del dialogo. Comunisti, democristiani e socialisti fecero un grande lavoro in passato. Ma purtroppo Moro e Berlinguer non ci sono più. Mancano uomini come loro».
Abbiamo Renzi, che da solo reincarna il compromesso storico. Non basta? Gli ottanta euro in tasca a tutti, operai e colletti bianchi. L’Imu sulla prima casa abolita per tutti, ricchi e poveri…
«Il Pd deve cercare di coinvolgere di più le forze politiche e i territori. Renzi il trasferimento delle competenze territoriali non l’ha fatto e ha accentrato l’azione del governo. Ora le Province non ci sono più e i comuni non hanno più soldi. E’ un grosso problema dal punto di vista amministrativo e sociale. La politica ha commesso un grosso errore cancellando le Province. E questa cancellazione ha indebolito molto il rapporto tra i cittadini e le istituzioni».
La sinistra non è però immune da peccati. Per molti anni è parsa spettatrice della politica. Diciamo che si è seduta sulla riva del fiume e che è invecchiata lì…
«L’indebolimento della politica è iniziato con tangentopoli e con la destra di Berlusconi. D’Alema non aveva capito bene chi fosse davvero Berlusconi. E anche noi non l’avevamo capito a sufficienza. Berlusconi non si è mai preoccupato di riformare lo Stato, non aveva interesse a farlo, badava ai propri interessi. Da allora è cambiato il modo di fare politica, il momento di rottura è stato quello. E così oggi è diffusa la convinzione che chi fa vita amministrativa o parlamentare lo fa per i propri interessi».
Torniamo al futuro del Lodigiano. Cosa propone?
«Di non perdere tempo perché siamo già in ritardo. La Città metropolitana ha definito le sue otte zone, noi potremmo essere la nona, ma occorre accelerare e iniziare a discutere con Milano su tutto, su quali sono i servizi e le istituzioni che possiamo mantenere, sullo statuto, sulla futura architettura del nuovo ente territoriale. Mi auguro che Soldati e l’Assemblea del Lodigiano possano incidere e con la politica mettere in campo delle idee».
Un’idea è intanto uscita dalla Festa dell’Unità: costituire una delegazione di sindaci di colore diverso per iniziare le trattative con Milano. Cosa dice?
«Può essere un primo passo, ma serve una vera intesa politica. Il ruolo di tutte forze politiche deve essere centrale. Ci sono condizioni e variabili da valutare con molta attenzione. L’anno prossimo ci sarà l’elezione del nuovo sindaco di Milano che sarà anche il nuovo sindaco della Città metropolitana. Inoltre non sappiamo ancora cosa sarà di quel che resta della nostra Provincia. Ci sono insomma fronti d’incertezza. Io credo che il 2016 sarà un anno transitorio e che dovremo penare».
Nel senso che dovremo darci molto da fare?
«Sì, e non dovremo sbagliare. Il Lodigiano non ha ancora toccato il fondo, nonostante i rischi di perdere prefettura, questura e vigili del fuoco. E nonostante le certezze che non avrà più una sua Banca popolare e una Camera di commercio autonoma. In passato non siamo stati capaci di difendere la Polenghi e il Consorzio agrario, due realtà fondamentali per il nostro territorio. Ora occorre fare un salto di qualità, la politica deve riprendere in mano la situazione, deve fare la sua parte e dev’essere determinata. Ai tempi della costituzione della Provincia di Lodi feci parte della commissione che avviò le trattative con Milano per decidere il patrimonio da trasferire al nostro territorio. Ricordo che la Provincia di Milano non voleva mollare, il distacco lo subì. Da parte nostra ci fu molta determinazione».
E sul ruolo della Regione cosa dice?
«Che sfugge, punta solo al referendum sull’autonomia che però non servirà a niente. Si sarebbe dovuta muovere con oculatezza e con anticipo anche in prospettiva della riforma del Titolo V. Avrebbe dovuto mettere in campo un grande confronto con i partiti per il futuro dei servizi, pianificare una politica territoriale sanitaria, assistenziale, dei trasporti».
E qui si torna a parlare delle ormai famose “geometrie variabili” prefigurate, seppur non auspicate, dal presidente della Camera di commercio Gendarini…
«Io non escludo che sia possibile agganciare qualche servizio a Pavia o a Cremona, però Maroni avrebbe dovuto avviare un dibattito con le forze politiche, perché con le riforme si è aperto un profondo processo di trasformazione sociale. Ora il rischio è che alcune zone della Lombardia possano essere indebolite. C’è da aggiungere che la Regione sta da tempo gestendo aziende e servizi, una funzione che all’origine non svolgeva in quanto non prevista dalla legge istitutiva. Insomma, al futuro dei territori non sembra molto interessata».
A proposito di aziende e di servizi agganciati ad altri territori, lei è stato per sei anni presidente della Line, l’azienda del trasporto pubblico. Cosa le ha insegnato quella esperienza?
«Che non è vero che le aziende pubbliche non sono capaci di fare concorrenza alle private. Con Pavia avevamo 350 dipendenti e 250 pullman, fu un’esperienza di grande rilevanza. Ora la Provincia di Lodi ha ceduto le sue quote, ma vista la situazione in cui si trova c’è da capirla».
Milano sarà l’unica nostra possibilità? Nessuna apertura agli altri territori?
«Io ho imparato molto da Milano, ho capito che vi si può svolgere una politica di più ampio respiro e che restare chiusi nel proprio ambito non aiuta a crescere. Del resto quando abbiamo fatto la Provincia, il nostro intendimento era di continuare a mantenere vivi i rapporti con Milano, come poi è avvenuto negli anni. Gli altri territori non potrebbero darci quello che offre Milano. Visto che ci troviamo costretti a scegliere, meglio la Città metropolitana».
Chiedo anche lei: fiducioso sul futuro del Lodigiano?
«La Provincia di Lodi è stata molto importante per il territorio. Ha dato un grande valore anche alla città di Lodi, facendola diventare una città sempre più forte. Ora temo che Lodi ora pagherà un prezzo alto, mi auguro che il sindaco possa rilanciarla con altri progetti. Quanto al territorio, speriamo che possa mantenere le sue posizioni e che alla fine salvi un po’ di servizi. Ma per questo epilogo istituzionale sono molto amareggiato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA