Gli eroi andrebbero lasciati in pace. Anche a Hollywood... Perché richiamare in servizio John McClane senza avere per lui una missione all’altezza? Dei nemici credibili e, soprattutto, un campionario di battute degno della sua fama?
Chiudi un secondo gli occhi e ti ritrovi a fare un salto all’indietro nel tempo di più di trent’anni: c’è ancora la Russia nemica, ci sono i nemici con un’unica espressione truce e che parlano come Ivan Drago e c’è soprattutto lui, McClane, a cui non è concessa un’onesta pensione da “ultimo boyscout”, e che si ritrova coinvolto (come sempre) controvoglia in un intrigo internazionale che lo porta addirittura a Mosca. Dove era andato «in vacanza» come ripete ironico nel mezzo di esplosioni, inseguimenti e conflitti a fuoco, e dove in verità è arrivato per recuperare il figlio finito in galera in circostanze misteriose. Passano poche scene e si scoprirà che la missione del figlio è in realtà più complessa ed è legata ai servizi segreti, e che a quel punto l’agente McClane sarà obbligato a farne parte.
È passato del tempo da Die Hard. Trappola di cristallo (1988) e oggi al timone non c’è più John McTiernan che aveva firmato quel “piccolo” film diventato autentico oggetto di culto e punto riferimento per un genere intero: siamo nel 2013, il regista è John Moore e il nuovo Die Hard (sottotitolo Un buon giorno per morire) è ormai il quinto della serie. Che per ritrovare smalto cerca di introdurre qualche elemento nuovo, pur rispettando il canone e la scaletta che il fan della saga si aspetta: ecco allora un compagno di avventura per una sorta di “buddy buddy” adrenalinico e in particolare un figlio, una nuova generazione di McClane, per un continuo rimando al conflitto tra generazioni e per un ritratto quasi crepuscolare dell’eroe, invecchiato ma ancora muscoloso ed efficace.
Così a Bruce Willis viene affiancato come spalla Jai Courtney nella parte di John junior e dal loro confronto dovrebbero nascere tutti gli spunti per l’azione: Willis fa dunque McClane che imita McClane, che capitato ancora una volta per caso al centro del disastro cerca la maniera per venirne fuori con la consueta ricetta di forza bruta e di ironia, miscelata però questa volta nelle dosi sbagliate. In questo quinto episodio da subito c’è un’azione fino troppo concitata, una camera mobilissima e veloce che si perde tra gli scoppi di auto e le improbabili carambole e dove c’era una regia rigorosa capace di chiudere tutto un film dentro un grattacielo c’è il fragore delle macchine distrutte a profusione per fare rumore e per compensare forse la mancanza di idee.
Il regista mette in piedi una trama esile esile di spionaggio e prova a tener viva l’emozione attraverso il dialogo tra padre e figlio che, pur nell’azione, provano a stabilire un rapporto. Peccato però che i dialoghi siano davvero troppo banali e che non scatti mai quel quid in più capace di far affezionare lo spettatore alle rispettive storie. Ci sarebbe il genere, certo, per salvare tutto, la maniera di condurre in porto il film secondo le regole, ma anche su questo fronte a regista e sceneggiatori manca lo spunto giusto. Non basta ad esempio far arrivare i due protagonisti in una Chernobyl notturna per far crescere la tensione, così come non basta il profilo della statua di Lenin per ricreare atmosfere da Guerra fredda. Lo spettatore si rianima un po’ solo quando il protagonista lascia da parte i panni del “vecchietto” in cerca del dialogo con il figlio e recupera un po’ di sana ironia e di forza per fare quello che sa fare. Ma per il “boyscout” è davvero troppo poco e forse, il crepuscolo, è davvero arrivato.
PRIMA VISIONE - Gli eroi andrebbero lasciati in pace. Anche a Hollywood... Perché richiamare in servizio John McClane senza avere per lui una missione all’altezza? Dei nemici credibili e, soprattutto, un campionario di battute degno della sua fama? Chiudi un secondo gli occhi e ti ritrovi a fare un salto all’indietro nel tempo di più di trent’anni...
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