Codogno, un appello per migliorare il reparto di psichiatria dell’ospedale

Come rinascere tra i muri scrostati, il giardino vietato e pure l’assedio delle zanzare?

Caro direttore, mi permetto di darti del tu perché ci conosciamo da tempo e ti chiedo, visto la delicatezza della lettera, di non pubblicare il mio nome. Da domenica 21, fino a qualche giorno fa, sono stato ricoverato nel reparto Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) di Codogno, dopo aver trascorso una serata e la notte in pronto soccorso inattesa di un letto libero in reparto. Non nego che l’impatto iniziale di un ricovero nel padiglione Bignami non sia stato leggero ma i medici, delicatamente, mi hanno subito messo in chiaro le difficoltà, che avrei trovato, soprattutto tra i pazienti, ma quello già lo immaginavo, e, nello stesso tempo, la carica emotiva che trasmettevano per permettermi di superare questa fase negativa, stringendo i denti.

Ne ero più che consapevole perché sono stato io a chiedere aiuto e quella domenica col psicoterapeuta, che da circa un anno mi aiuta, abbiamo valutato il ricovero. È importante davvero il riuscire a chiedere aiuto e non tenere dentro il tutto. Non è semplice e non lo è stato per me: infatti sono arrivato tardi perché aspetti sempre quando il peso diventa un macigno e non riesci a stare a galla, allora si che gridi aiuto. Mi sono ripromesso, in quel pomeriggio mentre accompagnato dai medici in quel breve tratto di strada tra il Pronto soccorso di Codogno e la struttura, di scrivere due righe a te direttore, ma col passare delle ore e delle giornate, ho pensato di inviare questa mia anche a Patrizia, amica e presidente della Commissione Salute della Regione Lombardia, e alla dottoressa Elena Lucchini, assessore regionale, che avevo conosciuto nella sua ultima visita a Codogno.

Le regole erano rigide: ho dovuto lasciare il mio pc in infermeria e mi sarebbe stato ridato solo al termine della degenza; anche lo smart-phone dalle 21 alle 8 veniva ritirato per ricaricarlo ma immagino anche per permettermi di riposare durante la notte. Ho trovato, fin da subito, un’équipe di giovani medici uniti e cordiali. Sono medici molto umani che coordinavano il restante personale sanitario sempre attento alle richieste dei pazienti mettendosi con loro a giocare a ping-pong o a cantare. Un bel clima, potrei definirla una famiglia provvisoria in un momento personale di grande aiuto. Non sono mancati abbracci ed in bocca al lupo quando qualcuno attraversava la porta per tornare a casa.

La porta rigorosamente era chiusa a chiave, una sorta di prigione priva di uno spazio esterno. Mi ha lasciato perplesso che un reparto di psichiatria, costruito all’interno dell’enorme parco del presidio di Codogno, non avesse un luogo, seppur adeguamente delimitato, per passeggiare, per leggere un libro, per ascoltare la musica o semplice per trascorrere una parte di giornata, che davvero erano era infinite. Mi hanno detto che prima del Covid c’era una piccola sorta di giardino, quasi mai usata a causa delle zanzare! Ecco il punto. Quel padiglione era il covo delle zanzare. Nessuna finestra, seppur prudenzialmente chiusa per esigenze protocollari, ma aperta due volte al giorno per il circolo d’aria,era dotata di zanzariere, le tremende zanzare andavano a nozze con noi degenti e col personale.

Ci sono due immagini che mi tornano spesso alla mente in questi giorni: la prima era la mia stanza, condivisa con un ragazzo di qualche anno più piccolo di me. Era spaziosa, bagno privato, piatto doccia super rovinato, qualche ragnatela, ma mancava di quella sorte di “benessere salutare visivo” che a volte in un reparto così può far bene anche oltre la terapia. E poi l’umidità che saliva dai pavimenti verso i caloriferi, dando all’intonaco una sorta di via libera per togliere la pittura. Un ambiente bello, colorato e curato fa stare meglio.

L’altra immagine è questo stanzone enorme a vetri. Luminoso senza ombra di dubbio, allestito con Ping-pong, televisore, bigliardino, cyclette … ma potete immaginare che caldo potesse arrivare da quei vetri fin dalle prime ore del mattino e quindi ancor di più nel pomeriggio, era solo maggio.

Era un posto ben costruito ma anche qui mancava qualcosa per poter far relazionare e socializzare i degenti.

Posso dire che sono stati giorni intensi della mia vita, giorni che, nei silenzi assordanti e numerosi che ci sono stati, mi hanno fatto passare davanti tante situazioni belle e brutte, piacevoli e difficili, ma anche tanti volti della mia famiglia, di persone care, di amici che in questi anni avevo un po’ escluso da me e che ora, più che mai, vorrei ricominciare a recuperare, riallacciando quei nodi di una rete che piano piano prenderà forma.

Ai politici chiedo di non dimenticare i malati psichiatrici perché anche loro hanno risorse e voglia di vivere, magari in maniera differente e con enormi difficoltà ma fanno parte di questa società che ultimamente esclude chi è solo, triste ed emarginato.

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