«Il cammino che ci conduce alla pace
ha gli occhi azzurri di una bambina»

La riflessione di Sara Gambarini

Il mio cammino verso la pace è di colore azzurro, di un azzurro color ghiaccio. Quello degli occhi bellissimi di una bambina che mi abbraccia a grappolo e mi saluta dicendo “Ciaooooo”. Ho imparato cosa significa guerra, quando la parola guerra è diventata un nome, un nome proprio di persona. Di bambina. E non solo un nome, in realtà. Di più di uno. Ci sono esperienze da cui non si torna indietro: questa guerra per me è così. E mi vergogno un po’, perché alle tante guerre sparse nel mondo non ho mai dato il giusto peso, forse semplicemente perché non le ho mai chiamate con un nome proprio di persona. Oggi ho uno sguardo diverso su quel che accade nel mondo. Io credo che il nostro cammino verso la pace dovrebbe essere di colore azzurro, di un azzurro color ghiaccio. Quello degli occhi bellissimi di una bambina. Quello dei nostri figli, dei nostri nipoti, dei bambini di ogni nazionalità. Sono bambini. I bambini non hanno colpa, mai, in qualsiasi parte del mondo nascano.

Guai a rimanere indifferenti davanti a un bambino: piangere di dolore o di gioia per un bambino fa bene, ci ricorda semplicemente che siamo umani. È il cammino verso la pace. Mi imbarazzava prima, e oggi fatico davvero a comprenderlo, sentire le persone parlare della guerra, in particolare di questa guerra, in termini solo militari e geopolitici (come se - oltretutto - fossimo tutti grandi esperti; come se - davvero - ci fosse stato detto tutto fino in fondo). Io posso avere la mia idea, posso essermene fatta una, posso pensare che certe corde non si tirano e certe soluzioni diplomatiche le si deve chiedere con determinazione e coralmente prima.

Io posso pensare che i nodi irrisolti di un lontano passato prima o poi riemergono. Posso pensare anche quanto il mondo dopo la caduta del muro di Berlino sia stato gestito solo dall’economia e non dalla politica, e così tutto è sfuggito di mano. E posso anche pensare che questa non sia una guerra di confine fra due Stati, ma una guerra mondiale, su un nuovo ordine mondiale, su una nuova visione del mondo, ed è per questo che ci riguarda davvero tutti anche se, fisicamente, viene combattuta su un unico suolo, da un’unica popolazione.

E io non posso non pensare che non esiste giustificazione alcuna all’invasione di uno Stato sovrano, all’impiego di una violenza inaudita che sembra finalizzata a far morire di stenti, come un topo in gabbia, quella parte di popolazione che ancora non è stata massacrata. È inaccettabile. Umanamente inaccettabile.

Le notizie e le immagini di questi mesi ci hanno riportato ad anni che pensavamo fossero finiti. Non c’è niente che giustifichi tutto questo. Dovremmo ripartire da qui come cittadini. Dobbiamo riparte da quegli occhi azzurri, di un azzurro color ghiaccio: guardateli bene e provate a specchiarvi. Come fate a giustificare questa guerra? No, non è retorica. È umanità.

L’uomo si sta autodistruggendo perché non è più capace (non tutti per fortuna) di amare un bambino perché è un bambino. Siamo falliti qui, come Paesi, sulla “retorica dei sentimenti”, sui “danni fisiologici di una guerra”, su “i cocci però sono nostri”. Io mi chiedo cosa aspettino le organizzazioni internazionali a chiedere un tavolo di pace e partire da qui: dal fatto che questa guerra in Ucraina non è più accettabile; che la negazione dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, non è più una merce negoziabile sul mercato internazionale come avvenuto finora a discapito di chi muore in mare e di chi non si sa neppure quando muore. Questo vale per tutti i Paesi del mondo. Certo non farebbe piacere ai produttori di armi e a coloro che esaltano le armi nucleari. Ma in fondo, io credo ancora che la gente di buon cuore, di buona volontà e io aggiungo, di buon senso, sia ancora molta di più di loro.

Sara Gambarini

Casalpusterlengo

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