«Insegnate l’Inno ai giocatori delle nazionali e poi mandateli nelle nostre scuole»

La lettera di Osvaldo Folli

Caro direttore,

l’Inno di Mameli facciamolo insegnare dai calciatori delle nazionali. Non è una provocazione e spiego il perché. Dopo che il ministro Valditara ha espresso l’intenzione di inserire all’interno di Educazione Civica anche l’insegnamento dell’Inno d’Italia, la “riscoperta” dell’Inno di Mameli può dirsi definitivamente acclamata. Perfino «La Lettura» del 22 settembre scorso ha dedicato all’avvenimento l’ampio servizio di apertura, ospitando pareri e riflessioni di alcuni studiosi del canto risorgimentale.

Insomma, ora ci sarebbero tutte le premesse affinché il nostro Inno nazionale, quello che i vari telecronisti chiamano un po’ pomposamente il più bello del mondo, entri finalmente a far parte stabilmente dell’identità nazionale e della nostra vita quotidiana, senza per questo essere ridicolizzato o travisato per intenti politici. Il fatto di insegnarlo nelle scuole, approfondendo anche il significato e le sue origini storiche, è naturalmente un’ottima iniziativa.

Per aiutare gli insegnanti in questo compito non banale, potrebbe essere utile sfruttare le capacità canore dei calciatori, in particolare quelli che militano nelle varie nazionali, dall’Under 17 fino alla formazione maggiore. Sembrerebbe una battuta considerando che ogni volta che si assiste a una partita della nazionale c’è da restare sbigottiti, e non mi riferisco alla qualità del gioco, pure se molto si potrebbe dire anche su questo aspetto. Non è possibile che l’Inno di Mameli il più delle volte sia maltrattato in un modo così poco decoroso, e lo scrive uno che è stonato come un violino scordato.

Va bene l’esultanza, la gioventù, la carica adrenalinica, tutto quello che volete, ma un minimo di decenza ci sembrerebbe necessario per non scadere nella sguaiataggine. Ecco allora un appello rivolto ai responsabili delle nazionali di calcio affinché, oltre curare la tecnica e l’aspetto atletico, possano trovare il modo per insegnare ai calciatori a cantare l’Inno nazionale in modo decente, trasformandoli così in moderni influencer in grado di incidere sui comportamenti dei ragazzi che, è proprio il caso di dirlo, pendono dalle loro labbra.

Magari utilizzando alcuni momenti futili o in trance davanti allo schermo del cellulare durante i ritiri di preparazione. Non si pretende che i nostri atleti arrivino a eguagliare gli eccellenti cantori diocesani diretti dal mitico monsignor Panzetti, ma almeno di prendere a modello i tanti medagliati delle recenti Olimpiadi e Paralimpiadi che ci hanno permesso di ascoltare tante volte il nostro inno con emozione e senza farci arrossire.

Osvaldo Folli

Lodi

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