Lodigiano colonizzato dal cemento. E oggi avanza il fotovoltaico a terra

La riflessione di Pierluigi Cappelletti

A Orio Litta la nuova Amministrazione Comunale propone un tris di appuntamenti sul clima e la custodia del creato. Venerdì 20 alle 21.00 in sala consiliare la geologa Chiara Zuffetti parlerà di “Proteggiamo il mondo”, ovvero del suolo organismo vivente e del suo consumo. Sabato 21 alle ore 9.00 andrà in scena “Puliamo il mondo” con “Legambiente” e i bambini delle elementari impegnati nella raccolta dei rifiuti, infine alle 15.00 nel salone della Scuola dell’infanzia “Amiamo il mondo”, una lettura animata del libro ”I Lagomorfi” per i piccoli curata da Saffo Fontana.

Proteggiamo, puliamo, amiamo il mondo perché il nostro mondo non va come dovrebbe, Lodigiano compreso. Se facciamo un volo sul territorio come hanno fatto i falchi migratori passati in questi giorni è sotto gli occhi di tutti la triste situazione ambientale. Il Sud Lodigiano è stato colonizzato. Basta guardarci intorno: cemento a iosa a Ospedaletto e lungo la ex Mantovana fino a Casale, Codogno e Fombio, bisarche a iosa da e per il mega deposito auto di Lambrinia, cemento monstre e 350 tir quotidiani in arrivo da Campagna di San Colombano, cemento a tutta a Livraga. Per non parlare di Borgo San Giovanni e Massalengo, Cornegliano e Muzza: piccoli paesi a cui in pochi anni sono stati cambiati i connotati.

Orio Litta è nell’occhio del ciclone, sempre più sotto assedio dal traffico pesante che i Comuni “porte aperte alle logistiche” hanno smistato qui, lontano dalle loro strade. La Bassa Lodigiana dei “prati verdi e rosse presenze” di castelli e dimore signorili, già invasa dai Romani, dai barbari di Odoacre e dai Longobardi, oggi è la preda preferita di grandi gruppi finanziari e commerciali. Siamo arrivati al punto critico, forse di non ritorno: il consumo di suolo è reale.

Il suolo lodigiano vivo, grasso, fertilissimo, è occupato per il 12% da magazzini logistici, mentre la media della Lombardia è il 4%. Questo porta a impoverire un terreno che per secoli ha prodotto il miglior riso, il miglior frumento e il trifoglio che nutre le vacche dal cui latte è nato il miracolo del grana tipico lodigiano.

Cementificare significa anche lasciare indifeso il terreno quando arrivano le bombe d’acqua, le piogge brevi ma torrenziali che ben conosciamo.

Sul suolo cementificato tutta l’acqua ristagna in superficie senza essere assorbita dal terreno. E la rete di assorbimento non tiene più, perché calibrata su piogge normali.

Ed ora il nostro suolo viene attaccato da un altro temibile nemico: il fotovoltaico. La corsa al business è partita a tutta: gli ettari di pannelli a terra lungo la strada che da Lambrinia porta a Campagna di San Colombano sono stati i pionieri. A Sant’Angelo 45 mila mt quadrati sono in arrivo e a Terranova addirittura 650 mila mt quadrati di buona terra pari a 90 campi di calcio, che non saranno a terra, ma quasi: quel terreno sarà movimentato e per sempre coperto dal nuovo mega mostro.

C’è una via d’uscita alla resa totale? Si c’è, ce lo indica “Altreconomia”: la sentenza della Cassazione, sezione civile 5, la n. 6840/2024 pubblicata il 14 marzo. La Cassazione dice chiaro e tondo di dare priorità a installazioni su superfici già consumate, in quanto i pannelli sono come il cemento, sono ancorati al terreno quindi equiparabili agli immobili. Allora, perché non cercare di essere più responsabili? Installiamo pannelli su tetti, parcheggi, ex aeroporti e stazioni di servizio dismesse, ma non più sul terremo agricolo. Chi deve dare autorizzazioni, vedi le Regioni e le Province, deve prendere spunto con coraggio da questa sentenza che fa testo per agire di concerto, indicando una direzione più giusta e corretta e risparmiando il suolo agricolo, perché la transizione energetica non dev’essere sregolata e lasciata in mano agli affaristi, ma va governata se si vuole fare il bene di tutti.

Pierluigi Cappelletti

Orio Litta

© RIPRODUZIONE RISERVATA