Quel senso di umanità ritrovato in un bunker, sotto i bombardamenti

MA ANCHE NO

Il corrispondente RAI da Tel Aviv durante un servizio dopo i recenti bombardamenti tra Israele e Iran è andato a intervistare cittadini un po’ stralunati nel momento in cui uscivano dai bunker. Come talvolta accade i giornalisti pongono a testimoni o familiari domande improbabili. Così è stato anche in questo caso. “Lei cosa dice, che ne pensa, come stavate nel bunker?” e la risposta di una signora è risultata scontata da un lato e sorprendente dall’altro: “Guardi sono molto felice di essere uscita e di non vedere danneggiamenti qui nelle vicinanze e le dirò che essendo un rifugio antiaereo condominiale, c’era molta gente dei nostri palazzi che non conoscevo. Abbiamo cominciato a parlare e per ore siamo andati avanti a raccontarci le nostre cose, un po’ per scacciare la paura ma soprattutto per conoscerci meglio”. Questo servizio mi ha ricordato il racconto del tutto simile di una signora che durante una scossa di terremoto di qualche anno fa nell’Italia centrale, uscita di corsa in strada si era messa a parlare con altri condomini quando normalmente, a detta sua, neanche si salutavano. Mia mamma poi mi raccontava che durante la Seconda guerra mondiale il rifugio dove lei e le sue colleghe trovavano riparo era molto frequentato anche da gente che non era dei paraggi, perché uscendo di corsa dallo stabilimento della Polenghi dove lavoravano, non avendo ovviamente controlli per via dell’emergenza, si portavano in tasca pezzettini di formaggio che distribuivano agli astanti, allietando in momenti di grande magra quella che diventava un’allegra compagnia. Ma, mi chiedo, c’è bisogno di eventi cosi luttuosi perchè le gente cominci a parlarsi e stare assieme allegramente? Anche no!

© RIPRODUZIONE RISERVATA