Anche la paura del virus diventa un rischio

L’analisi del filosofo francese Bernard-Henri Levy pone un problema “parallelo”

Da febbraio a oggi la letteratura sul Covid ha assunto dimensioni babeliche. Non vi è forma narrativa e saggistica, casa editrice e collana, con romanzieri, filosofi, saggisti, giornalisti, scienziati e medici che non si è misurata con la pandemia che da sei mesi sta flagellando da nord a sud e da est a ovest il pianeta. C’è da aggiungere che il Belpaese, pur con tutte le cautele del caso e gli scongiuri sulla tenuta delle redini di comando da parte del governo, ha saputo reagire meglio di Paesi più attrezzati e i dati dei bollettini quotidiani sembrano dare ragione alle misure intraprese di contenimento della diffusione del virus. Che non è stato sconfitto né debellato. Anzi, con di là a venire i vaccini e le bordate sempre più a salve dei leader negazionisti, è sempre in agguato.

In un tale contesto, per niente facile, in cui la pandemia ha non solo distrutto intere filiere economiche e spaccato le già tenui e labili posizioni di chi tira i fili dell’opinione pubblica, spicca “Il virus che rende folli”, il pamphlet di ruvido sapore volterriano, pubblicato per La nave di Teseo, dal filosofo, giornalista e viaggiatore francese Bernard-Henri Levy: uno dei pochi intellettuali d’oltralpe a conoscere molto bene l’Italia, sia nei vizi sia nelle sue virtù. Infatti sono straordinari i richiami con tanto di nomi e cognomi al nostro Paese. Per esempio si nomina la colletta dei Ferragnez. Ma non è questo che interessa, è la tesi del libro, esplicitata peraltro nel titolo medesimo, che non fa sconti. Tutt’altro funge da acceleratore di tutte le problematiche sociali, economiche e sanitarie che il coronavirus ha portato tra gli uomini e le donne di mezzo mondo, infondendo loro una confusione e uno sconcerto mentale. Per molti sconvolgente e che forse sarà irreversibile. Per Levy il problema è soprattutto etico ed esiziale nello sconvolgimento, lo si ripete, delle vite di ognuno e nell’accettazione e nel discernimento di cosa è possibile fare oppure no. Ma questo sta poi alla sfera personale di ogni singola persona capire che il far del male a se stessi e anche far male agli altri: è la paura del contagio. Interessante è anche nei più sferzanti giudizi del filosofo, non risparmia nessuno, l’aver registrato come le notizie, i fatti, gli accadimenti di un mondo così interconnesso siano all’improvviso scomparsi, inghiottiti dall’imbuto pandemico.

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