Athos è il più inquieto e lacerato dei Quattro moschettieri di Alexandre Dumas; e anche il più vecchio, probabilmente il più colto. Poca gloria, tanti ricordi, la giusta saggezza frutto dell’esperienza del vivere. Non è un caso che Andrea Maietti si sia scelto questa tardiva scumagna - accompagnata da un rassicurante “zio” – all’interno della selezionata combriccola di amici riuniti nel presidio di fabulazione sportiva on line brerianamente denominato “Em Bycicleta”. Un drappello di «sognatori e balenghi» li definisce lui, uniti in un’idea di sport diversa da quella dello show-business che imperversa sulle reti a pagamento, poco importa se in digitale o sul satellite. Sport come metafora di vita, dunque: fonte di “favole”, contenitore e straordinatorio acceleratore di emozioni,, nutrimento profondo dell’anima. In questo contesto è scaturita la nuova raccolta di brevi storie dello scrittore lodigiano (nostro “storico” e apprezzato collaboratore) appena mandata in stampa nella raffinata veste editoriale confezionata dai torchi ultrapadani di Guardamagna, in quel di Varzi, con un pallone in cuoio vistosamente ricucito per un antico sbrego a far bella mostra di sé su una copertina color granata (che sia un caso?...). Il libro, intitolato I taccuini di zio Athos (Storie di sport scritte col lapis) raduna testi già usciti sul succitato blog o sulle colonne del «Cittadino» nella rurbica della Tenda che Maietti settimanalmente “pianta” sul numero pre-festivo del quotidiano. La raccolta si apre con una dichiarazione d’intenti in forma di domanda retorica: «Perché scrivi zio Athos?» si chiede l’autore. Che così risponde, senza temere di manifestare qualche dubbio: «Non so bene, forse semplicemente per farmi un po’ di compagnia, adesso che i settanta sono rintoccati da un pezzo», aggiungendo poi una dichiarazione sul perché – nello scrivere – privilegi da sempre proprio lo sport: «Per gratitudine, credo – ammette - . Chi è stato povero può capire meglio. Niente libri nella mia vecchia casa di Costaverde, soltanto un giornale stropicciato, una volta la settimana, il lunedì: la Gazzetta dello Sport. Mio padre la portava dall’osteria». E gli amanti dello sport, di quello che ancora ha il sapore della fatica e che al doping sofisticato delle siringhe preferisce una borraccia riempita col bianco della propria vigna, non potranno non amare queste brevi storie, episodi antichi o recenti, vissuti o raccolti da racconti altrui, narrati con rustico garbo dal lapis di Maietti, direttamente intinto nelle zolle della Bassa, solcata di strade brumose e campetti di periferia. Cinque le sezioni in cui sono stati divisi i racconti: la prima dedicata al ciclismo nel segno del suo indimenticabile “campionissimo” (L’ombra di Coppi), la seconda al mondo del pallone (Calcio di oggi, calcio di ieri), la terza sui racconti sportivi all’osteria (Osteria della Dossenina), la quarta centrata sul pugilato, altro sport “povero” per antonomasia (Boxe e altre storie), la quinta a sparigliare, sotto l’unica regia del suo autore (Dal taccuino di Zio Athos). Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le passioni sportive, ma ce n’è soprattutto per gli amanti della scrittura “breve”, cucita su misura, a filo grosso e irregolare – come il pallone della copertina – per l’amata Costaverde, “isola” emblematica di quell’Oceano padano (per usare la bella metafora di Mirko Volpi) in cu Maietti e tutti noi rivieraschi dell’Adda, del Po o del Lambro, ci troviamo ogni giorno a gettare le reti.
Andrea MaiettiI taccuini di zio AthosGuardamagna Editori, Varzi 2015, pp. 143, 12 euro
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